Ricordiamo Gino Strada a due anni dalla scomparsa, mentre l’Italia si interroga su ciò che sta accadendo nelle carceri. Altre due donne morte suicide a Torino, un uomo che si è tolto la vita in Calabria e un bisogno disperato di restituire un senso alle parole. Spiace dirlo, ma se siamo ridotti così è anche perché, per troppo tempo, abbiamo disumanizzato la nostra professione, a cominciare dagli strumenti che la caratterizzano. E i nostri strumenti sono soprattutto le parole, oltre alle immagini che sempre più riempiono le nostre giornate grazie ai progressi compiuti dalla tecnologia. Persone, non detenuti. Esseri umani che, magari, hanno sbagliato ma non per questo sono meritevoli di subire torture, violenze o quant’altro. La definizione asettica, priva di qualunque trasporto emotivo, seguita da statistiche e analisi tecniche è il miglior modo, invece, per far sì che il dramma non solo continui ma dilaghi.
A Gino Strada sarebbe piaciuta questa digressione, proprio come sarebbe piaciuta a Michela Murgia. Per loro, infatti, i diritti umani venivano prima di tutto e andavano di là di tutto. Non a caso, abbiamo trovato alquanto singolari i coccodrilli apparsi su alcune testate: le stesse che non hanno battuto ciglio quando venivano stipulati gli accordi con la Libia, che tanta sofferenza arrecano ai poveri cristi in fuga dalla miseria e dai conflitti che sconvolgono l’Africa, o quando veniva rimandato l’ambasciatore italiano in Egitto il giorno di Ferragosto, in barba alla verità per Giulio Regeni e a ogni principio etico.
Gino Strada tutto questo non lo ha mai accettato, denunciandolo con vigore e scagliandosi contro l’ipocrisia di chi predicava bene ma, una volta al potere, faceva l’opposto. Non a caso, se c’era una categoria che proprio non sopportava erano i dispensatori di buoni consigli: gli stessi che poi votavano a favore delle guerre e degli invii di armi e di soldati, gli stessi che insultavano la lingua italiana, a proposito di parole, spacciando la barbarie bellica per una “missione di pace”, gli stessi che anteponevano interessi vari alla difesa della dignità delle persone. Persone, per l’appunto: ecco perché le varie questioni si tengono insieme.
Gino Strada si è battuto tutta la vita contro ogni forma di ingiustizia, andando in giro per il mondo a curare chiunque ne avesse bisogno senza chiedergli chi fosse o di cosa si occupasse, sostenendo che la missione di un medico sia quella di seguire la propria coscienza e di ispirarsi al Giuramento di Ippocrate. In mare si salva, in ospedale si cura, nella società ci si occupa innanzitutto dei più deboli: nessuno dev’essere lasciato indietro o abbandonato a se stesso, meno che mai chi ha alle spalle un’esistenza difficile e segnata dalle tragedie.
Per Gino, come per Michela, i partiti e le appartenenze politiche venivano dopo. Sapevano benissimo da che parte stare ma non cambiavano idea a seconda della convenienza, tanto che spesso si sono scontrati più con i sedicenti “compagni” che con gli avversari.
Intransigenti, rigorosi, quasi sempre in contrasto con il comune sentire, mai disposti ad accettare in maniera acritica il pensiero dominante, non sottomessi ad alcun potere e guidati unicamente dalla bussola della Costituzione e dei suoi valori: questo erano e così volevano essere ricordati. E per questo, è bene dirlo senza infingimenti, sono stati onorati da morti dopo essere stati contrastati e insultati, in ogni modo, da vivi. Perché davano fastidio per ciò che erano, per gli ideali di cui si facevano promotori, per la visione del mondo che portavano avanti e per il loro non essere disponibili ai compromessi sporchi che troppe volte caratterizzano una politica in crisi di identità e di credibilità.
Susan John, Azzurra Campari e Andrea Muraca: questi i nomi delle ultime vittime del nostro sistema carcerario. Se ci sono figure che vogliamo accostare idealmente a Gino Strada e a Michela Murgia sono loro, certi che si sarebbero sentiti onorati di essere citati in una riflessione dedicata ai fragili e agli sconfitti del nostro tempo. Perché per loro, Gino come Michela, erano nati, a loro hanno dedicato tutte le proprie energie, dalla loro parte si sono schierati quando erano in pochissimi a farlo e con loro, probabilmente, si trovano ora lassù, regalando a chi non è riuscito a sovvertire il proprio destino una carezza e un sorriso. Quaggiù, intanto, alcuni hanno momentaneamente deposto le pietre e accantonato l’odio, ma solo perché nuocerebbe alla loro carriera e alla loro reputazione, non certo perché intendano seguire l’esempio di questi due meravigliosi incompresi. Questo compito spetta, invece, a noi, dato che ingiustizie e disuguaglianze sono in aumento.
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