Anche su Enzo Baldoni è calato ormai il silenzio, come su altri giornalisti italiani caduti sui fronti di guerra. A 19 anni di distanza dal suo omicidio (di cui ricorre l’anniversario il 26 agosto), non è stata fatta luce sulle circostanze della morte. Fu rapito a Najaf (Iraq) il 21 agosto 2004 da un gruppo della galassia jihadista che impose all’Italia l’ultimatum per il ritiro delle truppe dal paese entro 48 ore. Luogo e data precisi dell’assassinio non sono noti, presumibilmente avvenne dopo 5 giorni di detenzione. Il vero strazio per la sua famiglia è stata la restituzione dei resti, mai avvenuta. Nel 2005 alla Croce Rossa fu restituito un frammento osseo del suo cadavere, come confermato dagli esami del Ris dei carabinieri.
Forse i rapitori avevano deciso subito di ucciderlo, troppo poco il tempo concesso per avviare eventuali e difficili trattative in una nazione che allora divampava e che resta ancora oggi alla ricerca di una difficile stabilità, anche se i radar dell’informazione mainstream non ce lo ricordano. Enzo Baldoni, 56 anni, era un freelance, in quella occasione lavorava per il settimanale “Diario”. Il suo lavoro principale era il pubblicitario: famosa la sua campagna tv del rasoio per uomini sensibili, in grado di fare la barba ad un palloncino senza farlo scoppiare.
Le inchieste della magistratura italiana non sono approdate a nulla, come purtroppo è avvenuto in altri casi analoghi: nessuna collaborazione dalle autorità locali (quando e se ci sono puntano a difendere sé stesse), impossibilità per gli investigatori di praticare il campo.
Alla famiglia non è rimasto altro che riunirsi intorno a quel frammento osseo, dandogli sepoltura nel cimitero di Preci, piccolissimo comune umbro di cui sono originari. Enzo era nato a Città di Castello.
Per il prossimo anno (in cui ricorre il ventennale della morte) Articolo 21 ed i suoi presìdi umbri di Gualdo Tadino ed Orvieto si faranno promotori di una campagna per ricordare degnamente Enzo Baldoni, giornalista freelance, nella sua terra d’origine intitolandogli una panchina, una strada, una pietra d’inciampo per “non dimenticare” chi ha pagato con la vita il suo impegno professionale.
P.S. Grazie A Mauro Biani che ci ha autorizzato a pubblicare il suo splendido disegno (oggi su Repubblica)