Cento anni dall’omicidio di don Minzoni ad opera delle squadracce fasciste, incarnate nel caso specifico da Giorgio Molinari e Vittore Casoni, due fascisti di Casumaro, vicini a Italo Balbo, ossia a una delle figure più importanti del regime. Cento anni ed è bene interrogarsi sulla personalità di questo giovane sacerdote che venne massacrato a colpi di sassi e bastoni, ad appena trentotto anni, per aver opposto la forza del Vangelo alla barbarie della dottrina mussoliniana.
Don Minzoni era vicino al popolarismo di Romolo Murri, credeva nello scoutismo come forma di aggregazione e condivisione solidale ed era un convinto fautore dell’associazionismo cattolico, in contrasto con il dilagare della bestialità in camicia nera che aveva trasformato la provincia di Ferrata in un campo di battaglia. Se davvero vogliamo comprendere l’essenza del fascismo, la biografia di don Minzoni è dunque imprescindibile. Perché esso non fu, come qualcuno sostiene per ignoranza o per malafede, un regime bonario che si corruppe al momento dell’alleanza con Hitler. L’aggressione, il pestaggio, la bastonatura degli avversari politici, il carcere e il confino ai danni degli oppositori, il piglio colonialista e guerresco, le intimidazioni ai giudici e alla libera stampa e il continuo inneggiare alla morte e all’abbattimento del nemico erano consustanziali alla sua natura di feccia. Come feccia è nato e come feccia è proseguito, segnando in modo indelebile un ventennio della nostra storia e conducendoci nell’abisso di una guerra che ha stravolto per sempre il volto dell’Italia, portando una generazione a morire sui vari fronti e infliggendo all’intera popolazione umiliazioni e sofferenze indicibili.
Ricordare don Minzoni è, pertanto, un modo per parlare all’oggi, facendo comprendere quanto sia falsa l’idea che la Resistenza appartenga a una sola parte politica. Non è comunista, socialista o repubblicana, infatti: è di chiunque vi abbia partecipato e ne abbia fatto tesoro, delle nuove generazioni che ne promuovono i valori e dei popoli di tutto il mondo che vi si ispirano per ribellarsi alle proprie tirannidi.
Don Giovanni Minzoni, cent’anni dopo, ci ricorda che il fascismo non è cominciato con la Marcia su Roma o con le Leggi fascistissime ma con la brutalità nei piccoli centri, con gli attacchi nei confronti di sindacalisti ed esponenti politici delle forze avversarie, con le botte e i soprusi, con la censura e il divieto di manifestare le proprie idee. Non a caso, uno degli interventi più duri del parroco di Argenta riguardò il diritto degli scout di sfilare in piazza, in contrapposizione alle adunate in camicia nera che stavano prendendo pericolosamente piede.
E sbaglia anche chi pensa che a cadere sotto i colpi del fascismo di ieri, di oggi e di sempre siano i più facinorosi: non è così. Le dittature odiano soprattutto le persone miti e gentili, coloro che sono in grado di farsi ascoltare dalla moltitudine, i liberali e i cattolici, chi innalza la Croce opponendosi ai cannoni e chi si batte in nome della pace contro ogni guerra e vessazione. A cadere sono sempre, innanzitutto, le persone animate da una fede autentica: nell’essere umano prim’ancora che in Dio, nelle potenzialità di ciascuna e ciascuno di noi e nella bellezza della nostra unicità che, mescolandosi, si trasforma in una comunità in cammino.
Accadde lo stesso in America, sessant’anni fa, quando Martin Luther King pronunciò, al Lincoln Memorial Hospital di Washington, il celebre discorso “I have a dream”, esponendo il sogno di un paese libero dall’oppressione razzista, dalla segregazione, dalla furia etnica, dalla discriminazione diffusa e dalle innumerevoli forme di bestialità cui erano sottoposte le persone di colore. Se abbiamo avuto Obama, e il primo presidente nero lo ha sempre ricordato, è perché c’è stato quel discorso, perché c’è stata Rosa Parks, perché c’è stata la Marcia per i diritti da Selma a Montgomery, in Alabama, perché c’è stata la gioventù ribelle e contestatrice che si è opposta alla guerra del Vietnam, perché ci sono stati i movimenti universitari all’interno dei campus ed eventi come la Summer of Love di San Francisco e il raduno di Woodstock. Nulla avviene per caso. Se oggi in America il colore della pelle discrimina un po’ meno, anche se numerosi sono ancora i casi di violenza disumana ai danni dei neri, come dimostra la tragedia di George Floyd, è perché c’è stata la battaglia per far entrare al college i nove ragazzi di Little Rock, in Arkansas, perché John Fitzgerald Kennedy si è opposto alla follia del governatore Wallace, membro del suo stesso partito e ras dell’Alabama segregazionista, che si era messo fisicamente davanti all’ingresso dell’università per impedire che vi si iscrivessero due studenti di colore, perché Johnson ha firmato il Civil Rights Act e perché c’è stato il movimento hippie e quello in nome dei diritti degli omosessuali a San Francisco, guidato da Harvey Milk e divenuto celebre grazie al suo impegno senza requie; insomma, perché c’è stato un percorso lungo e complesso, avente come faro un’idea di civiltà e di emancipazione sociale, che dura tuttora e che non deve mai fermarsi.
Queste due vicende, quindi, apparentemente così lontane nel tempo e nello spazio, appartengono in realtà alla stessa visione del mondo: quella che tiene in considerazione tutti i diritti, senza esclusione alcuna, in virtù del fatto che nessun diritto possa affermarsi se ne esclude un altro.
Concludiamo aprendo un altro fronte e fornendo qualche utile spunto di riflessione in proposito. Stiamo assistendo, in questi giorni, a preoccupanti episodi di videlismo di ritorno in Sudamerica, continente meraviglioso e ricco di storia e di cultura ma, ahinoi, anche terreno fertile per colpi di Stato e per l’ascesa di dittature selvagge. Ci preoccupano il liberismo diffuso, il disprezzo per la persona umana, il carcere utilizzato per mettere a tacere ogni forma di dissenso e ancor più ci preoccupa l’indifferenza dell’Occidente, e più che mai dell’Europa, verso ciò che sta avvenendo a quelle latitudini. La lotta contro tutti i fascismi, i razzismi, i bavagli e le forme di odio, difatti, o prosegue senza sosta, coinvolgendo ogni paese, ogni popolo, senza frontiere e senza particolarismi, o sostanzialmente non è. Perché nel momento in cui cominciamo a pensare solo a noi stessi, a manifestare solo per i nostri interessi e a batterci solo per ciò che ci riguarda da vicino, in quel momento siamo già fascisti. Fascisti involontari e inconsapevoli: i più pericolosi, non certo meno colpevoli di chi ha elevato lo squadrismo a proprio metodo politico.
(Nella foto Martin Luther King )
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