E’ vero, la violenza di genere è sistematica, trasversale, specifica, culturalmente radicata. Non è più solo una emergenza sociale, è un fenomeno endemico, in cui l’informazione gioca un ruolo strategico, che dovrebbe essere formativo, sull”uso corretto di parole e immagini nella narrazione, e nella scelta di ciò che si narra. Un ruolo di prevenzione, anche di denuncia: non ridursi, invece, a cassa di risonanza di fatti intimi
Perché è violenza, e grave, e pesante, pubblicare il video della fine di una storia, un fatto assolutamente privato, affidata solo alla voce di una delle parti in causa, l’uomo, scaricando tutta la colpa sulla donna. Una umiliazione che è alla pari di dieci, cento coltellate: proprio come quando il femminicida sorprende la vittima nel sonno, o per strada mente cammina. Quel video, che tutti i media hanno veicolato, in versione integrale o ridotta, è revenge porn. E’ una gogna mediatica mascherata da gossip, che serve a far salire le visualizzazioni, obiettivo sicuramente centrato, e poca importa se la donna ne esce come traditrice, cattivo esempio per la figlia, invece esemplare, prezzolata, opportunista. Insomma, con tutte le giustificazioni per essere ‘violentata’ davanti a tutti e data in pasto a lettori e telespettatori, con quell’approccio giustificativo del carnefice che è figlio di una sottocultura androcentratica e, in questo caso, anche vuoyerista. Insomma, se l’è cercata.
Non si dica che questo è giornalismo, caso mai una degenerazione del giornalismo, un episodio violento, che rinnega ogni forma di deontologia. Anche quella raccomandazione, contenuta nel Manifesto di Venezia, in cui si chiede un comportamento professionale appropriato “per assicurare massima attenzione alla terminologia, ai contenuti, alle immagini divulgate”..
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21