Sudan, continuano le atrocità di una guerra oscurata: bruciati vivi anziani e bambini

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“Mia nonna, Kaltuma Mohamed Adam, era insieme a un gruppo di anziani ipovedenti che erano stati radunati dalle forze occupanti a El Geneina, le Rsf( gli ex janjaweed, in un luogo isolato con la promessa di avere rifugio e stare in sicurezza, invece poco dopo è stato dato fuoco all’edificio dove li avevano rinchiusi. Sono morti bruciati vivi”.
Il racconto di Adam Nor, rifugiato in Italia quando era ragazzino, dopo la fuga dal Darfur per non essere costretto a imbracciare le armi nella guerra del 2003,  è solo l’ennesima testimonianza delle atrocità in corso in Sudan dall’inizio del conflitto scoppiato il 15 aprile scorso.
La città simbolo dell’ efferatezza delle Forze di supporto rapido, che hanno dato il via alle ostilità contro il Consiglio sovrano al potere nel Paese dalla caduta dell’ex presidente e dittatore Omar Hassan al-Bashir, è la capitale dello stato occidentale della regione sudanese, El Geneina.
La popolazione locale, in particolare dell’etnia Masalir, è stata praticamente sterminata e chi è ancora bloccato nella regione deve pagare una sorta di pedaggio per poter fuggire.
“Siamo al paradosso, per scappare da El Geneina bisogna dare il pizzo ai janjaweed altrimenti non si passano i posti di blocco. Quindi solo chi ha soldi può lasciare la città” denuncia Nor che sottolinea come “queste azioni disumane non sono nuove e fanno parte del modus operandi dei janjaweed. Oltre all’episodio degli anziani in cui  è stata uccisa anche mia nonna paterna, sono stati massacrati almeno 20 bambini in un attacco in una scuola poi data alle fiamme.

Le perdite tra i civili si dice superino le 15.000 persone, mentre i feriti sono tra gli 8.000 e i 10.000”.
Chi è riuscito a lasciare El Geneina continua ad arrivare in Ciad dove i profughi sono presi in carico dal governo locale.
Sono stati allestiti numerosi campi per sfollati, tuttavia si tratta di un aiuto insufficiente a garantire il soddisfacimento dei bisogni primari: non ci sono farmaci, non c’è cibo e i ripari sono improvvisati.
“A soffrire di più sono i bambini perché in questo periodo di piogge ci sono degli insetti molto fastidiosi che portano malattie. Il rischio di ammalarsi è una costante” prosegue l’esule del Darfur che evidenzia l’importanza dell’aiuto occidentale.
Dopo la deflagrazione del conflitto a Khartoum, la capitale del Sudan, i combattimenti si sono allargati ad altre città limitrofe, per poi estendersi alla regione del Darfur.
Oltre El Geneina le città maggiormente colpite sono Murnei, Zalinghè e Kutum.
Il Darfur è l’area geografica più estesa del Sudan, grande quattro volte l’Italia.
La regione è stata divisa da Bashir in 5 stati: El Geneina è in West Darfur ed è abitata in prevalenza dai Massalit. Murnei era il sultanato dei questa etnia, unitosi al Sudan nel 1919. Zalinghei e Kutum, nella regione del Darfur centrale, sono popolare per lo più dall’etnia Fur, un’area ricca di materie prime in diversi piccoli insediamenti e villaggi dove le  Rsf continuano a compiere atrocità nel silenzio generale, sia occidentale sia dello stesso governo sudanese: l’esercito regolare comandato dal generale Abdel Fattah Al Burhan non riesce a garantire protezione ai civili.
“Appare sempre più urgente che l’occidente e i paesi africani intervengano per garantire la pace e la sopravvivenza delle persone che abitano la regione del Darfur perché l’esercito ignora completamente il suo dovere di proteggere i civili.
Quattro giorni fa Al Burhan, in occasione della festività musulmana del Aid Al-adha, ha tenuto un discorso per chiamare i giovani sudanesi ad unirsi all’esercito ma nessuno vuole alimentare questa guerra, Come comunità sudanese in Italia e esponenti della diaspora in tutto il mondo abbiamo convocato un presidio per il giorno sabato 8 luglio dalle 14 alle 16 in piazza santi apostoli a Roma. Chiediamo tre semplici cose: missione di peacekeeping per assicurare la sopravvivenza della popolazione civile in Darfur e permettere il rientro dei rifugiati dal Ciad; l’attivazione di aiuti umanitari  internazionali per soccorrere i rifugiati sudanesi, la fine del conflitto interno e la transizione verso un governo civile, senza forze militari al potere” conclude Nor..
La situazione sul terreno appare però estremamente complessa e il fallimento della mediazione saudita e statunitense evidenzia la mancanza di volontà delle parti di raggiungere un accordo per un cessate il fuoco duraturo.
Da domenica scorsa pesanti combattimenti tra le forze armate sudanesi e le Rsf hanno nuovamente scosso la capitale Khartoum e Omdurman, la città gemella sull’altra sponda del Nilo.
L’esercito fedele a Burhan ha lanciato offensive aeree contro i paramilitari guidato dall’ex numero due del Consiglio Sovrano, Mohamed Hamdan Degalo, meglio noto come Hemetti.
Il comitato dei medici sudanesi ha accusato le Rsf di aver assaltato l’ospedale di Shuhada, uno dei pochi ancora in funzione nel Paese, e di aver ucciso alcuni membri dello staff.
I morti ormai non si contano più, si stima che le vittime siano oltre  3.000 mentre 2,2 milioni di persone sono sfollate interne e quasi 645.000 sono fuggite oltre confine.
Secondo le Nazioni Unite, in tutto il Paese 25 milioni di persone hanno bisogno urgente di aiuti umanitari e di protezione.
L’Unhcr, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, ha inoltre denunciato nei giorni scorsi che 28 rifugiati di altre nazionalità ospitati dal Sudan sono stati uccisi a Khartoum quando l’area in cui vivevano è stata travolta dai combattimenti.
“L’Unhcr – si legge in una nota – è sconvolto ed esprime le sue più sentite condoglianze alle famiglie colpite. Stiamo lavorando per aiutare a identificare le vittime, rintracciare i parenti e fornire supporto psicosociale e di altro tipo. Ancora una volta, i rifugiati e gli altri civili sono le vittime innocenti di questa tragica guerra. Entrambe le parti devono permettere ai civili di spostarsi liberamente verso luoghi più sicuri, garantendo la loro protezione e il loro benessere e rispettando i diritti umani fondamentali”, ha dichiarato Mamadou Dian Balde, direttore regionale dell’Unhcr per la regione dell’Est e del Corno d’Africa e dei Grandi Laghi.

Fonte Repubblica 


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