Salute mentale nel giornalismo, quanto pesa essere freelance

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Ansia, depressione, insonnia, attacchi di panico, burnout, disturbi da stress post traumatico. Sono tanti i disturbi che colpiscono i giornalisti, eppure oggi la salute mentale nel giornalismo è ancora un tabù. Le ricerche sul tema sono iniziate negli anni Novanta negli Stati Uniti, ma la maggior parte delle indagini si sono concentrate sui cronisti di guerra e di crisi umanitarie, o sui giornalisti minacciati. Questi però non sono i soli ad avere difficoltà psicologiche da affrontare: anche i freelance o i giornalisti dei desk vivono situazioni che mettono alla prova la propria salute mentale, eppure sono ancora pochi gli spazi di condivisione e dialogo, e molto raramente le redazioni mettono a disposizione un sostegno psicologico per i propri dipendenti e collaboratori. Ecco perché non è facile, per chi fa questo mestiere, ammettere di avere un problema e di vivere un momento di debolezza.

 

Per questo IRPI – Investigative Reporting Project Italy sta realizzando la prima inchiesta in Italia sulla salute mentale nel giornalismo. L’obiettivo è di raccontare quali sono le difficoltà che vivono i giornalisti, per poi fornire degli strumenti per riconoscere e affrontare situazioni di stress o disagio psichico. Il primo passo è quello della raccolta di dati e storie: un questionario anonimo dà voce ai giornalisi non contrattualizzati (freelance, partite IVA, collaboratori occasionali).

 

Insicurezza economica. Per i freelance, gli articoli sono pagati sempre meno e le collaborazioni raramente hanno una continuitàche possa dare certezze nel futuro. Per i dipendenti di una testata, icontratti sono sempre più precari e mal pagati, e la crisi dell’industria, con la minaccia della cassa integrazione, porta un clima di ansia e ipercompetitività nelle redazioni. Il risultato è che alcuni giornalisti fanno fatica ad arrivare a fine mese, o sono obbligati a fare anche un altro lavoro per arrotondare. Questo li rende maggiormente esposti e ricattabili: oggi si parla molto delle querele temerarie, che servono a intimidire e silenziare il lavoro dei reporter che alle loro spalle non sempre hanno un ufficio legale che li difende.

 

Invulnerabilità apparente. Il giornalista è visto come una persona che deve riuscire sempre a controllare la propria emotività, anche quando lavora su storie particolarmente intense o toccanti. Non sono concesse debolezze, titubanze o fragilità, e questo paradigma dell’uomo forte ha un impatto considerevole sulla salute mentale. In alcuni casi addirittura, il giornalista finisce per mettere a rischio la propria vita pur di dimostrare di riuscire a portare a casa la storia.

 

Mancanza di pause. I giornalisti spesso lavorano molte ore al giorno, anche il weekend. I ritmi della cronaca sono frenetici e non ammettono pause: bisogna essere sempre connessi, ed è molto difficile separare la vita privata dal lavoro. Alcuni arrivano a sperimentare una vera e propria dipendenza dalla rete e dai social network.

 

La solitudine. Il giornalista, soprattutto il freelance, è un cane solitario, che lavora da solo e che raramente si confronta con i colleghi: anche questo contribuisce a creare un senso di abbandono e di solitudine. In Italia, le collaborazioni tra giornalisti o tra redazioni sono ancora guardate con sospetto: questo non solo crea un clima di sfiducia e mancato supporto, ma depotenzia anche la qualità del lavoro giornalistico stesso.

 

Una casta che si sta sgretolando. I giornalisti sono ancora considerati un’elite che gode di certi privilegi. Sono diverse le occasioni in cui sono chiamati a esibire quello status symbol che in realtà si sta sgretolando: i salotti in televisione, i festival e gli eventi, dove fare networking e apparire come persone di successo sembra ancora essenziale. I giornalisti che stanno sulla notizia, inoltre, sono considerati “migliori” rispetto ai giornalisti che lavorano in un ufficio stampa o nel settore della comunicazione – che spesso hanno fatto questa scelta per necessità di avere un guadagno migliore e più stabile. Questo clima giudicante e ipercompetitivo crea una pressione difficile da gestire.

 

I cronisti di guerra e i giornalisti minacciati. In Italia gli unici progetti di supporto psicologico ai giornalisti hanno come target coloro che rientrano da zone di conflitto o da crisi umanitarie, ma anche i giornalisti minacciati. Ad esempio, il Dart Center Europeorganizza training e offre supporto. Nel 2020 è nato anche il progetto Journalists-in-Residence Milano (JiR Milan), gestito da Q Code Magazine, che offre una struttura di accoglienza temporanea a giornalisti che hanno subito minacce.

 

Giornaliste donne: le difficoltà aumentano. Infine, vi sono discriminazioni specificamente legate al genere, che mettono alla prova l’equilibrio delle giornaliste donne. Soprattutto nelle piccole testate, esistono temi considerati ancora “femminili”, come la moda, la cucina o il costume, e altri ritenuti più “maschili”, come l’economia, la cronaca giudiziaria e lo sport. Oltre a questo, la competizione nel settore è tale che, per ottenere un posto, capita che alle donne vengano fatte avances e ricatti a sfondo sessuale. Ma il mondo del giornalismo non ha ancora avuto il suo #metoo, e oggi molte giornaliste non raccontano quello che avviene nelle stanze chiuse delle redazioni. E poi vi è una stigmatizzazione della scelta della maternità, spesso considerata incompatibile con un mestiere dove è richiesto di avere sempre la valigia pronta e stare costantemente “sulla notizia”.

 

 


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