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Quel che lega padre Paolo dall’Oglio a Papa Francesco e a Lampedusa

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A pochi giorni dall’anniversario del suo sequestro in Siria, a Raqqa, il 29 luglio 2013, è stato reso noto il testo della prefazione scritta da papa Francesco al volume “Il mio testamento” (edito dal Centro Ambrosiano), che raccoglie quanto detto da padre Paolo sulla regola della comunità che fondò, la Comunità di Mar Musa. Il testo è noto da ieri, ma è importante tornare sul suo valore più autentico proprio oggi, che segna un altro decennale, quello del viaggio di Francesco a Lampedusa, isola che riassume in sé il sogno e il destino di un popolo, espulso da Assad e sequestrato dall’Isis, proprio come Dall’Oglio. Va sempre ricordato che prima del suo sequestro, nel 2013, per mano dell’Isis, il gesuita romano fu espulso dal regime di Assad, nel 2012. Ma torniamo alla prefazione del papa.

Francesco aveva già parlato del suo confratello dopo il sequestro, definendolo una stimato religioso, chiedendone il rilascio e notizie, che mai sono giunte. Ora è di nuovo lui a tornare a parlarne e questo è molto interessante e importante. Interessante perché tocca di nuovo a Francesco rompere uno strano silenzio, al quale possiamo trovare significativa eccezione nella voce del nunzio apostolico in Siria, monsignor Mario Zenari. Se come molto purtroppo fa presumere, fosse morto, si tratterebbe certamente di un martire della fede, trascurato però da molti. Come è toccato ad altri religiosi, come ad esempio a monsignor Romero. Qui ovviamente non c’è una diretta analogia, perché nel caso di Dall’Oglio non c’è, come detto, la prova del martirio, ma una scelta sapiente da parte di qualcuno, di rimuoverlo complice il silenzio che segue sempre la mancanza di certezze sul destino di persone sparite. Dunque è di nuovo di lui, Francesco, a rompere il muro di silenzio, di oblio, imposto dai suoi sequestratori e dai loro possibili complici, che sin qui hanno accuratamente evitato che filtrasse qualsiasi voce sul suo destino.

Sì, Dall’Oglio è scomodo da vivo come da morto e solo la sua rimozione, vivo o morto che sia, soddisfa i responsabili del sequestro. Nel caso dei jihadisti perché direbbero a tanti musulmani siriani (e non solo) che lo amano e lo hanno amato, che loro hanno ucciso un cristiano che crede in Gesù, ma ama l’Islam, come recita il titolo del suo libro più importante. Così le sue domande si infittiscono: è morto subito? E’ la cosa più comoda da dire, perché celerebbe che magari è successo qualcosa, che le cose potevano andare diversamente. Forse è vero, ma forse è falso. Di certo questo dubbio facilita la sua rimozione. E questo è il primo, grande merito del testo scritto dal papa a prefazione del volume ormai di imminente pubblicazione, sarà in libreria da martedì. Ed è questo che rende il testo del papa importante.

Quella di padre Paolo infatti è una lezione e una storia, una visione e una denuncia, che non può essere addomesticata. Non può essere ricondotta nell’alveo di una visione che non sceglie, non vede, traccheggia. No. Questo con con l’autore de “Il mio testamento” non è possibile. Come ha fatto recentemente la rivista dei suoi confratelli, La Civiltà Cattolica, anche lui avrebbe scritto oggi, se avesse potuto, che “l’apparato di sicurezza siriano in questi anni ha catturato decine di migliaia di dissidenti politici, che non erano terroristi. Tutto questo è stato portato avanti metodicamente con l’aiuto degli alleati iraniani e, a partire dal 2015, dei russi, che in Siria hanno sperimentato i metodi di guerra più distruttivi”. Ecco dove sta l’importanza della prefazione del papa: chi lo diceva già allora, quando accadeva o stava per accadere, non è andato fuori dalla righe, non si è sbilanciato.

Di questo ovviamente il testo non parla, ma che nell’introduzione si ricordino orribili abusi da parte di ecclesiastici siriani e maneggi economici ha rilievo. Si legge nel volume, a firma di padre Jihad Youssef con riferimento a Dall’Oglio: “Aveva lottato senza risparmi contro la corruzione generata dal maneggio di denaro ma anche contro quella generata dal sesso in ambito religioso, che ha portato a compiere abusi, anche contro minori, oppure a coprirli e a non denunciarli. E sulle sue spalle ha dovuto sopportare le conseguenze di questa lotta”.

Ecco allora che la prefazione del papa diventa più importante di quello che potrebbe apparire, non basta leggere il testo, bellissimo e dolcissimo verso il confratello inghiottito nel buio siriano nel quale il potere ha fatto quanto qui abbiamo fugacemente ricordato. No, come sempre il testo va letto nel suo contesto. E il contesto è quello di dare voce ai siriani, ai loro patimenti che durano dal tempo del golpe baathista e che non si risolvono in essi. Allora si capisce bene cosa dica Francesco quando scrive commentando il doloroso mistero che ancora avvolge il suo destino: “sappiamo però ciò ciò che lui non avrebbe desiderato: incolpare della sua misteriosa e drammatica scomparsa l’Islam in quanto tale: rinunciare a quel dialogo appassionato in cui lui ha sempre creduto…”
Sì, Francesco ha ragione, ed è importante riflettere sui motivi per cui questo impegno appassionato, cocciuto, sicuro ma anche aperto, riecheggi così poco nel suo Paese di nascita, l’Italia, al di là delle parole del papa, anche a pochi giorni dal decimo anniversario del suo sequestro. Forse la non addomesticabilità di Dall’Oglio continua a penalizzarlo nonostante la tragedia dei profughi siriani, milioni e milioni, cacciati col forcone dal loro Paese, avrebbe dovuto aprirci gli occhi già da tempo.
(Nella foto Padre Paolo Dall’Oglio)

Fonte Formiche.net


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