Un accordo milionario mette a tacere la famiglia e la moglie dell’ambasciatore Luca Attanasioucciso insieme al carabiniere che gli faceva da scorta, Vittorio Iacovacci e all’autista del World food Programme Mustapha Milambo nella Repubblica democratica del Congo, paese in cui Attanasio rappresentava l’Italia come diplomatico,
Alla fine il peso della perdita del loro caro, la frustrazione per una giustizia che sembrava irraggiungibile, il futuro incerto delle tre bambine nate dall’unione di Attanasio con Zakia Seddiki, di origini marocchine, ha schiacciato la volontà di andare fino in fondo nella richiesta di verità sull’agguato del 22 febbraio 2021. I genitori di Attanasio e la vedova non si costituiranno parte civile venerdì 7 luglio all’udienza preliminare che deciderà se il processo italiano sul triplice omicidio si farà o prevarrà l’immunità richiesta dall’ufficio legale dell’agenzia delle Nazioni Unite per i due funzionari del Wfp che impedirà al procedimento giudiziario di essere incardinato.
Attanasio, Iacovacci e Milambo furono freddati nel corso di un’imboscata sulla Route nationale 2 che da Goma si estende fino a Rutshuru, meta del convoglio ancora tutta da chiarire.
Ed è per questo che la famiglia Iacovacci, che ha scelto di non accettare la trattativa per il risarcimento sottoscritta dai familiari di Attanasio “per il bene alle figlie del diplomatico”, sottolinea l’avvocato Rocco Curcio, legale di Salvatore Attanasio, padre dell’ambasciatore.
Diversa la posizione di Dario Iacovacci, fratello di Vittorio, che ha tenuto a sottolineare che un accordo che li escluda dal processo come parte offesa “non è accettabile” e che la sua famiglia non verrà mai meno all’iimpegno per la ricerca di verità e giustizia.
Salvatore Attanasio, che fino a qualche settimana fa era sulla stessa lunghezza d’onda, tiene a sottolineare che “la rinuncia alla costituzione di parte civile ha il solo l’obiettivo di garantire alle tre figlie piccole di Luca un vita decorosa e un futuro simile a quello a cui erano destinate se il loro papà non fosse stato ucciso. Questa è e rimane la priorità della nostra famiglia”.
La decisione di Salvatore Attanasio non è stata indolore. Mai avrebbe voluto rinunciare a battersi per il figlio. E tutto lo sconforto e la rabbia per aver dovuto “cedere” per il bene delle nipotine si manifesta nelle parole di accusa rivolte al gonerno italiano, “uno Stato in svendita”, che avrebbe dovuto impegnarsi di più affinché “il processo facesse emergere tutte le responsabilità che sono dietro all’uccisione di mio figlio” perché la posizione di uno “Stato degno di questo nome è diversa da quella della famiglia”.
Costituirsi parte civile per il governo dovrebbe essere un atto dovuto “per rispetto nei confronti di due suoi servitori caduti nell’esercizio delle loro funzioni”.
Il Giudice dell’udienza preliminare, Marisa Mosetti, si appresta dunque ad esprimersi sulla richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura di Roma, rappresentata dal procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, per i due imputati Rocco Leone e Mansour Rwagaza accusati di omicidio colposo e omesse cautele, in un contesto “viziato” dalla scelta dello Stato italiano di
voltare le spalle a Iacovacci e Attanasio “accontentandosi” della sentenza farsa del processo in Congo, dove erano imputati i sei presunti esecutori del triplice delitto, condannati all’ergastolo senza prove certe di colpevolezza, e che ha visto il nostro Paese costruito come parte civile.
L’associazione articolo 21, rappresentata da Antonella Napoli ha deciso che sarà scorta mediatica dalla parte di chi reclama verità e giustizia per l’assassinio dell’ambasciatore Attanasio, del brigadiere Iacovacci e del loro accompagnatore Milambo.
Troppe oscurità circondano modi e tempi della loro esecuzione, le organizzazioni internazionali non possono nascondersi dietro l’immunita.
Chiediamo inoltre al governo di non sottrasti alle sue responsabilità e di costituirsi parte civile dalla parte di chi tanto ha dato alla comunità nazionale” fa sapere
Beppe Giulietti, coordinatore nazionale Articolo 21.