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L’assurda battaglia razzista della sindaca di Monfalcone

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La sindaca leghista di Monfalcone – città dove oggi quasi il 30% della popolazione è di origine straniera – è persona tutta d’un pezzo. Lei non affronta i problemi; lancia crociate. Non tergiversa: va dritta al punto armata di machete.
Ieri, quando nel Paese soffiava forte il vento salviniano, l’assillo di Anna Maria Cisint erano i bimbi stranieri che affollano gli asili comunali, alla cui presenza impose un assurdo tetto. Poco dopo, il target si è spostato sulla nuova moschea, bocciata con un cavillo amministrativo. La sua attenzione si è poi spostata sulle botteghe etniche e sui money transfer del centro, da cui sperava di espellerli. C’è stata poi la battaglia contro le bibite refrigerate servite dagli stessi esercizi commerciali, ribattezzata dalla cittadinanza indignata la campagna della birra calda. Quanto a coerenza ideologica, Cisint non è seconda a nessuno.
Adesso, tra i bollori dell’estate 2023, lo scontro di civiltà si è spostato sui costumi estivi dei musulmani e delle musulmane della sua città, che per motivi di pudore – questo è – si fanno il bagno a mare vestiti. Un comportamento che – sostiene animatamente e animosamente la prima cittadina – minaccia il decoro e le entrate di siti turistici come Marina Julia, che da qualche tempo anche le famiglie immigrate hanno presso a frequentare alla ricerca di refrigerio. Invasione con “islamizzazione”: scenario perfetto per una succulenta polemica estiva.
Ecco la prova provata, denuncia la sindaca che ostenta le prove agitando lo spettro del burkini, della mancata volontà di integrazione. Ecco la dimostrazione che lei, la sindaca, aveva ragione quando ha scelto di perseguitare le minoranze più o meno come fanno gli ayatollah con i Bahai. Non c’è niente di cui rimproverare la sindaca, che è semplicemente se stessa, prigioniera di quel personaggio populista che si è guadagnato la fama nazionale a suon di ordinanze anti-questo e anti-quello. L’hanno votata, a Monfalcone, per ben due volte, dunque le sue argomentazioni appaiono convincenti, anche se noi, modestamente, osiamo dissentire. Meglio dunque guardare a ciò che succede a pochi chilometri, a Trieste, città multiculturale e cosmopolita dove da anni si tesse il dialogo interreligioso e dove il vescovo Enrico Trevisi giusto un mese fa ha fatto visita alla moschea di via della Maiolica avviando chiesa cattolica e Islam verso un percorso che Anna Maria Cisint – per pudore, immagino – rifugge dal voler seguire, a scapito dei soliti capri espiatori.

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