Un bidello di 66 anni, mentre sale le scale a scuola, molesta una ragazza di 17 anni che racconta: “Mi ha preso alle spalle senza dire nulla, poi mi ha infilato le mani nei pantaloni e sotto gli slip, mi ha palpeggiato il sedere, e mi ha tirato su tanto da farmi male alle parti intime”. Per le giudici però è uno “scherzo”, perché dura solo “10 secondi” e non c’è nessuna violenza sessuale nei confronti della minorenne che pur essendo ritenuta attendibile si deve rassegnare, dato che l’uomo viene assolto con formula piena (Sentenza TRIB. ROMA, 6 LUGLIO 2023). Tre giudici donne che hanno emesso questa sentenza, tra cui la Presidente della Sezione penale di Tribunale Maria Bonaventura, e che hanno ritenuto attendibili le ragioni della stessa avvocata del bidello, Claudia Pirolli, che descrive il suo cliente come un pover’uomo senza malizia, la cui vita sarebbe distrutta a un passo dalla pensione. Ma perché? Come può essere che l’italia si faccia ancora riconoscere per la sua inettitudine in materia di stereotipi malgrado il collegio sua tutto al femminile?
Perché un collegio di donne non riconosce la violenza?
Verrebbe da ridere se non ci fosse da piangere dato che si tratta di una delle sentenze più maschiliste e gravemente rivittimizzanti emesse in Italia, per la quale si sono scomodati anche il New York Times e il Guardian per dire quanto siamo indietro in materia di stereotipi e pregiudizi di genere, e che ci conferma che essere donne non basta se manca una consapevolezza profonda e anche una formazione di genere ad hoc quando si fanno certi mestieri, dato che a volte, o anche spesso, le donne possono essere più omologate al modello maschile di quanto non lo siano gli stessi uomini, soprattutto laddove il potere è più forte, come appunto la magistratura o la politica.
L’altra sentenza di sottovalutazione
Una sezione che già in un’altra sentenza non ha riconosciuto il tentato femminicidio e il maltrattamento (Trib. Roma, Sez. V, sent. 4 ottobre 2021, n. 11019), dove il collegio composto dalla presidente Maria Bonaventura, dalla giudice Petra Giunti e dalla giudice Alida Bracone, pur avendo emesso una sentenza di condanna per lesioni aggravate, non ha riconosciuto il reato di tentato femminicidio nel caso di un accoltellamento di una donna da parte del marito dopo essere stata picchiata, in quanto “la scarsa forza impressa nell’azione di accoltellamento, tanto che i fendenti non sono stati penetranti fino agli organi vitali (…), si pongono in contrasto con la volontà di provocare la morte”. Giudici che hanno assolto l’imputato dall’accusa di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) malgrado i racconti e le prove riportate da madre e figlia, ritenendo non credibile la donna per la mancata abitualità delle condotte maltrattanti, quando ormai anche i sassi sanno che nella violenza domestica il ciclo della violenza è intermittente con le cosiddette “fasi di luna di miele”.
Cosa dice la sentenza della non-molestia da “10 secondi”
Tornando alle motivazioni della sentenza dei 10 secondo leggiamo che “il giorno 12 aprile 2022 alle ore 9 e 40 circa, la ragazza (ndr) entrava a scuola in compagnia della sua amica e, mentre saliva le scale, giunta al primo piano, mentre si stava tirando sui pantaloni che le erano scesi dalla vita, sentiva da dietro delle mani entrarle nei pantaloni, sotto gli slip, che dapprima le toccavano i glutei e poi la afferravano per le mutandine e la tiravano su sollevandola di circa 2 centimetri. (…) La ragazza era convinta che fosse stata l’amica, tuttavia si girava e vedeva l’odierno imputato. A quel punto, si recava in classe senza dire nulla ma lui la seguiva e le diceva amò lo sai che io scherzavo”.
“La ragazza raccontava l’accaduto al professore che la portava dalla vicepreside. (…) E poi riferiva inoltre che, all’ora della ricreazione, si recava al bar dove giungeva l’odierno imputato, il quale tentava di avvicinarla per parlare e, di fronte al suo rifiuto, iniziava ad alzare la voce dicendole che gli avrebbe rovinato la vita, si metteva le mani nei capelli e prendeva a testate il bancone del bar; allora la ragazza, intimorita, si allontanava con dei compagni di classe. La persona offesa specificava che l’odierno imputato era solito rivolgersi a lei chiamandola amore e che in generale dava molta confidenza anche ad altre ragazze”. Bidello che in una occasione aveva detto alla ragazza che se avesse avuto la sua età “mi risarei sposato”, mostrando un interesse tutt’altro che innocente per una ragazza neanche maggiorenne
La racchettata sul sedere
Una confidenza molto fuori dalle righe per un uomo di 66 anni che si rapporta a ragazzine minorenni che chiama “amore” e che si comporta come se tutto gli fosse lecito dato che nessuno in quel contesto lo individua e lo riprende. Un bidello che non è nuovo a un certo tipo di “confidenze” e che viene assecondato perché in fondo sono “complimenti” senza malizia. E quando viene mossa l’accusa di molestia perché lui è andato “oltre”, è la la ragazza che diventa l’artefice della rovina del povero vecchio che tra un anno va in pensione
Sempre sulla sentenza si legge che “Parlando dell’accaduto con le compagne di classe, la ragazza (ndr) scopriva che l’odierno imputato aveva avuto atteggiamenti simili anche con altre ragazze, una compagna di scuola, in particolare, le aveva raccontato che un giorno, mentre giocava a ping pong in palestra, era stata colpita dall’imputato con una racchettata sui glutei”. Racconti che nella sentenza vengono descritti come attendibile e che trovano riscontro anche nelle testimonianze sull’accaduto, in cui più di una ragazza parla di un atteggiamento fin troppo confidenziale del bidello su cui oggi ci chiediamo come possa essere che in una scuola nessuno abbia individuato e fermato quest’uomo prima che potesse molestare in questo modo una delle alunne, e che grazie a questa sentenza resterà al suo posto come se nulla fosse successo.
Un autentico burlone
Eppure malgrado “La condotta posta in essere dall’imputato, quale descritta dalla persona offesa, integra sicuramente l’elemento oggettivo della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 609 bis c.p.”, “non sono emersi elementi probatori sufficienti a formulare, senza alcun ragionevole dubbio, un giudizio di responsabilità dell’imputato”, dice la sentenza. Perché? Su quale base se tutto quello che è stato descritto è supportato da testimonianze e veridicità? Perché, dice sempre la sentenza, “la repentinità dell’azione, senza alcuna insistenza nel toccamento da considerarsi quasi uno sfioramento, il luogo e il tempo della condotta, in pieno giorno in locale aperto al pubblico e in presenza di altre persone, e le stesse modalità dell’azione poi conclusasi con il sollevamento della ragazza, non consentono di configurare l’intento libidinoso o di concupiscenza generalmente richiesto dalla norma penale”. Per cui le giudici ritengono che convincente “la tesi difensiva dell’atto scherzoso”: ma questo bidello è un autentico burlone!
La manovra “maldestra” dell’uomo
Quindi se un uomo vi tocca il sedere per pochi secondi in un luogo pubblico dove ci sono altre persone e non indugia in questo toccamento (solo 10 secondi), non vi preoccupate perché sta scherzando e non c’è nessun intento sessuale o libidinoso, non vuole “consumare” sta solo “dando un’occhiata”. Insomma è come se vi sfiorasse il braccio, la testa, perché in fondo il sedere è una parte del corpo come un’altra, e che c’entra la violenza sessuale? Esagerate!
Ma attenzione perché in questa sentenza si parla anche di “manovra maldestra”: “Inoltre, appare verosimile che lo sfioramento dei glutei sia stato causato da una manovra maldestra dell’imputato che, in ragione della dinamica dell’azione, posta in essere mentre i soggetti erano in movimento e in dislivello l’uno dall’altra, potrebbe avere accidentalmente e fortuitamente attivato un movimento ulteriore e non confacente all’intento iniziale”. Insomma ti ha afferrata da dietro non perché voleva toccarti contro la tua volontà, non l’ha fatto apposta, voleva farti uno scherzo e gli è scivolata la mano nel sedere. E meno male che sei minorenne perché se fossi stata maggiorenne la colpa sarebbe stata sicuramente tua.
Questo articolo è stato pubblicato il 17 luglio su DonnexDiritti Network