Dimentichiamoci, per i dodici mesi che ci separano dalle elezioni europee, che esista una maggioranza corrispondente alla coalizione di governo: vale a dire, partiti e capipartito che si comportano come se la pensassero in modo, se non uguale, almeno compatibile sui principali temi. Esiste una maggioranza numerica in Parlamento, nelle Camere, grazie alla indecente specialità italiana di adattare le leggi elettorali su misura delle esigenze dei più forti, e sempre al lumicino della legislatura: quando la buona grazia delle democrazia, giuridica o etica, vieta o sconsiglia di ritoccare i meccanismi elettorali.
Da noi piace farlo allora, e nessuno si tira indietro. Una maggioranza, quella di governo, che è al contempo larga minoranza nel paese, e farebbe bene a ricordarlo la presidente del Consiglio quando parla di una vittoria netta. Uno dei limiti della insostituibile democrazia è la necessità di dover considerare maggioranza anche chi non lo è, se non grazie ai ghiribizzi delle leggi elettorali, per l’appunto. Non tutte ugualmente democratiche. Il presidente Macron, ad esempio, mette insieme, poco più di un quinto dei consensi reali, nel confronto libero d’esordio. Già da qualche settimana Giorgia Meloni capisce di poter contare su una maggioranza solo numerica in entrambe le Camere, e non senza qualche brivido: mentre nel dibattito che forma le opinioni trova sempre più spesso avversari fastidiosi nei suoi alleati teorici. Su tutti, il grande guastatore, chissà perché mantenuto ancora alla guida del partito dei buoni amministratori, la Lega. Da tempo, impegnato sul tema dell’evasione fiscale: il suo impegno, renderla praticabile, sempre più. Chissà perché rivolge le sue attenzioni a chi, anche volendo, non può evadere nulla: quasi che il tema debba interessare solo i potenziali evasori. Sa anche, la Meloni, di potere contare sempre meno sulla acquiescenza silente della stessa, oramai acefala, Forza Italia, che solo riesumando la memoria dei temi che mettevano il Cavaliere solo contro tutti, potrà sperare di esserci nel prossimo parlamento europeo.
Seguire Marina, figlia designata di Berlusconi, incredibilmente, e il sodalizio che si potrà formare con il ministro Nordio, Meloni permettendo, sul concorso esterno alle mafie. Schermaglie permettendo. Seguiranno nel tempo altri temi, selezionati con la medesima accuratezza tra i più delicati e dirompenti, fino al clou, la elezione diretta di qualcuno. Purchessia. A volte, la miccia è accesa dallo stesso capo del Governo, vedi pizzo di Stato e sostegno intermittente ai virtuosismi dello stesso sempre presente Nordio. Giorgia Meloni dovrà poi inoltre valutare se l’ implosione, a breve distanza l’una dall’altra, di alcune sue né commendevoli né spiegabili imposizioni al vertice di istituzioni parlamentari o ministeriali, non la costringa a dolorose rimozioni (o implorazione di dimissioni, al vertice delle Camere), nella carne viva del proprio partito. Nella speranza, in parte consolante , che il presidente della Camera continui nella sua fino ad oggi inappuntabile (e davvero insperata, per chi lo seguiva in precedenza), interpretazione del ruolo .
Così andremo avanti, si fa per dire, fino alle elezioni europee, con un governo che assomiglia sempre più, per compattezza, al governo gialloverde di infelice memoria. Ma con la capacità della maggioranza di ritrovare fraterna solidità alla vigilia di qualsivoglia elezione (eccezion fatta, per il sistema vigente, le elezioni europee). Qualcuno si stupisce se sempre più spesso ci capita di augurare un’eterna giovinezza istituzionale al nostro rappresentante di garanzia, lassù al Quirinale? Ed anche lunga vita alla nostra Costituzione, laddove quella figura istituisce?