Fermare i migranti a qualunque costo. E noi non possiamo chiudere gli occhi!

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L’Unione Europea e il Governo italiano continuano per la stessa strada: fare accordi con Paesi affacciati sulla costa nordafricana per arrestare il flusso di migranti e l’attraversamento del Mediterraneo. Non importavano la guerra, la totale destabilizzazione, le violenze e gli abusi sui migranti della Libia, così come non importano gli abusi sui diritti umani, l’autoritarismo del regime tunisino, né la “caccia al subsahariano” messo in atto dal Governo di Tunisi, né le violazioni delle libertà civili e democratiche del regime egiziano di Al Sisi, di cui la vicenda di Patrick Zaki (conclusasi proprio il 23 luglio con il suo arrivo in Italia) o l’omicidio di Giulio Regeni sono episodi emblematici. La “Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni” tenutasi lo stesso 23 luglio a Roma con i Paesi europei e africani che si affacciano sul Mediterraneo, come pure l’accordo di pochi giorni fa (il 16 luglio) con la Tunisia parlano sempre il medesimo linguaggio: fermare i migranti, impedire che attraversino il mare. Lo stesso linguaggio usato con la Turchia, per cercare di bloccare l’altra rotta migratoria, quella orientale e balcanica. Fiumi di denaro in cambio del fatto che vengano trattenuti là.

Le parole d’ordine sono quelle di “rimuovere le cause profonde delle migrazioni e stroncare le reti criminali dei trafficanti di esseri umani”. Le azioni concrete, però, sono volte a stroncare le vite e i diritti umani dei profughi che tentano la via di raggiungere l’Europa e l’Italia. La realtà racconta una storia del tutto diversa da ciò che viene proclamato o scritto nelle intese: i migranti che intraprendono quei viaggi disperati della speranza non contano nulla, sono sacrificabili.

È il caso dell’accordo con la Tunisia. Il copione di questo memorandum – che nella sua formulazione ufficiale appare molto generico, sia rispetto all’aiuto economico europeo e italiano sia rispetto ai tempi e ai modi di attuazione di questa “cooperazione” – ricalca nella sua impostazione quello tragicamente noto con la Libia: vi diamo denaro, vi diamo mezzi, vi diamo addestramento purché fermiate i migranti che vogliono attraversare il mare.

In questo caso, all’incontro con il presidente tunisino Kais Saied del 16 luglio, c’erano la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la premier italiana Giorgia Meloni e quello dimissionario olandese Mark Rutte. Ma la filosofia è banalmente la stessa che portò Minniti a sottoscrivere il Memorandum con la Libia: fermare le partenze dei migranti, o farli intercettare e riportare (illegalmente) indietro, non importa come né a quale prezzo. In cambio? Soprattutto denaro, così necessario in questo momento alla Tunisia, che si sta avvitando in una crisi economica spaventosa, provocata peraltro in gran parte dalle stesse scelte politiche del suo “quasi-dittatore” Saied. Ma non solo, per ottenere la riduzione delle partenze dalle coste tunisine l’Unione Europea darà a Tunisi anche “17 imbarcazioni riequipaggiate e otto nuove”, esattamente come è avvenuto con la Libia.

Naturalmente, l’accordo parla di rispetto dei diritti umani e della necessità che il Paese nordafricano attui profonde riforme (in cambio delle quali l’UE promette di sbloccare fondi assai più ingenti promessi dal Fondo Monetario Internazionale e poi sospesi per via della deriva autoritaria di Tunisi: dal 2021 Saied ha sospeso le funzioni del Parlamento, accentrando il potere su di sé e governando a suon di decreti presidenziali).

La collaborazione del leader tunisino, tuttavia, è meno facile da ottenere di quanto sia stato con la Libia: Saied intende rimpatriare – e lo sostiene a chiare lettere – soltanto i tunisini che si imbarcano irregolarmente per l’Italia, non i subsahariani, verso i quali in Tunisia già da tempo porta avanti un’aggressiva campagna accusandoli di essere causa della crisi economica, e ancora di recente ha riecheggiato la teoria della “sostituzione etnica”, tanto cara all’estrema destra italiana, europea e americana.

Insomma, Kais Saied ci sta a riportarsi indietro i propri connazionali, ma non ha alcuna intenzione di farlo con i migranti di altre nazionalità, specie se provengono dal sud del deserto.

Il futuro che invece si riserva agli africani è quello segnalato da diverse agenzie umanitarie negli stessi giorni del vertice euro-tunisino: deportarli nel deserto al confine con la Libia e con l’Algeria e abbandonarli là, senza cibo né acqua. Un destino toccato in una sola settimana a oltre mille migranti, in almeno quattro distinti gruppi (ma, ovviamente, il governo di Tunisi nega queste deportazioni).

Tutto questo non ha nemmeno sfiorato il vertice fra UE e Tunisia, come non l’ha sfiorato il fatto che il numero di morti nel Mediterraneo, nel 2023, è salito a livelli che non si vedevano dal 2017.

Per l’Unione Europa conta solo sbandierare dichiarazioni altisonanti sul fatto che va combattuta la migrazione illegale, dimenticando di dire che quella legale è stata resa impossibile. Per il Governo italiano conta solo portare a casa qualche presunto successo sulla riduzione degli sbarchi (finora del tutto fallita, visto l’aumento considerevole), perché era stato promesso in campagna elettorale. A qualunque costo: che aumentino i morti in mare, che si facciano accordi con dittatori, che si diventi complici delle gravissime violazioni dei diritti umani, che si ignori il fatto che Libia e Tunisia non sono Paesi sicuri, che si ostacolino in tutti i modi le navi del soccorso umanitario.

Ebbene, si può continuare a chiudere gli occhi su tutto questo?

 

 

 

 

*Luciano Scalettari è giornalista e  Presidente di ResQ – People Saving People


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