In forza alla squadra dei tutor di questa edizione del Premio Roberto Morrione c’è Enzo Nucci, giornalista Rai, rientrato negli scorsi mesi in Italia, dopo aver trascorso gli ultimi 16 anni come corrispondente da Nairobi. Dopo una lunga carriera, anche come cronista e inviato della redazione esteri del TG3, Enzo Nucci con il Premio Morrione si è messo a disposizione, nel ruolo di tutor, di Youssef Hossan Holgado e Tommaso Panza, finalisti nella categoria video inchiesta di questa edizione.
Perché hai accettato il ruolo di tutor del Premio Morrione? Che cosa significa per te?
Volevo entrare a contatto con i giovani che desiderano fare giornalismo investigativo, inoltre la figura del tutor mi incuriosiva perché offre una vista unica sul nostro mestiere. Nei mesi scorsi, ho già scorto le potenzialità di questi under30 quando ho avuto sotto mano i progetti candidati al bando. Ero dilaniato dal dover dare i voti. Più della metà dei progetti erano interessantissimi e per me meritevoli di arrivare in finale. Ho anche letto i cv degli autori, scoprendo profili di ragazzi e ragazze eccezionali. Mi ha colpito che avessero anche esperienze di lavori manuali. Questo è utile per capire l’evoluzione della professione. Ormai le nuove generazioni sono consapevoli di non poter più puntare al posto fisso e trovano nuove strade.
Conoscevi Roberto Morrione?
Si, ho un caro ricordo di quando andammo insieme ad un Festival dell’Unità e negli spazi liberi ci conoscemmo visitando musei e condividendo momenti conviviali. Sono inoltre in Rai dall’’88. Quando entrai, Roberto era già un pilastro, l’asse portante della cronaca del Tg1. Era molto nominato, molto presente nei discorsi dei colleghi. Uno dei veterani. Anche dal punto di vista sindacale, oltre che professionale. Aveva una grande attenzione a quanto succedeva nel sistema informativo Rai.
Cosa ti aspetti dagli under 30 che segui nella realizzazione dell’inchiesta?
Molta determinazione, perché le loro inchieste sono interessanti, ma, diciamoci la verità, danno fastidio e gli spazi per questo tipo di contenuti sono sempre molto limitati. La determinazione deve essere accompagnata da grande voglia di fare e una solida conoscenza di ciò che intendono investigare. Non nego inoltre che mi aspetto anche di ricevere. Guardo a questi under30 e vedo la lava di un Vesuvio, un vulcano di informazioni e idee. Io mi offro come artigiano pronto ad aiutare a dare una forma a questa massa incandescente.
Quale consiglio su tutti ti senti di dare agli under30 arrivati in finale e ora alle prese con il progetto di inchiesta?
Attenzione, determinazione e conoscenza di ciò che realmente succede sul campo. Spesso infatti la conoscenza teorica si scontra con la realtà dei fatti che è tutta un’altra cosa. Devono capire il quadro complessivo e saper identificare quali sono le forze in campo, riuscendo anche a dosare le proprie e a fermarsi al momento giusto. E’ bene fare un passo, due o tre verso la verità ed esporsi, ma si deve essere anche in grado di fermarsi e saper valutare i rischi, per evitare di bruciarsi.
Quando hai capito che il giornalismo sarebbe stato il tuo mestiere?
Al liceo classico. Ero ancora preda dei desideri di mio padre. Lui voleva che diventassi medico. Ma al primo anno di liceo classico decisi che volevo diventare un giornalista. Erano gli inizi degli anni Settanta, c’erano ancora i moti di contestazione. Io scrivevo nel giornale La scintilla (titolo omaggio a Mao e ispirato da Lenin), testata degli studenti medi napoletani. Lì iniziai a scrivere e scoprii la mia passione. In seguito andai in una radio privata e poi in vari giornali, fino ad essere assunto al Diario di Napoli, quotidiano napoletano diretto da Massimo Caprara, segretario politico di Togliatti, storico dirigente del Pci e più volte deputato, nonché uno dei fondatori del Manifesto. Feci il praticantato là e, dopo un periodo di disoccupazione da Napoli, mi trasferii al Corriere dell’Umbria a Perugia. Dopo venni assunto alla testata giornalistica Rai del Lazio, da li approdai al Tg3, prima alla cronaca e poi agli esteri.
C’è una inchiesta che consideri un esempio da seguire? Se si, quale e perché?
Watergate del Washington Post perché ha fatto veramente la storia del giornalismo. Ha segnato un punto di svolta. Al di là della risonanza mediatica che ebbe, è proprio espressione dell’inchiesta che nasce dalla determinazione dei giornalisti, dalla loro conoscenza del soggetto di investigazione, dalla capacità di agganciare una fonte e della fortuna, spesso necessaria per fare un’inchiesta come quella. Un’inchiesta che non sarebbe stata possibile senza la scelta del giornale di investire su quel lavoro, e non un investimento solo di denaro, ma anche di tempo e di credibilità.
Che libro consiglieresti di leggere a chi vuole fare del giornalismo il proprio lavoro, il proprio futuro?
Tutti i libri del giornalista americano Seymour Hersh, Non riesco a sceglierne uno. Insieme a quelli di Günter Wallraff e di Anna Politkovskaja.