Nelle ville dell’oligarca Lebedev, nascoste fra i boschi umbri, avverrebbero da anni operazioni di influenza politica. Ecco gli interessi in Italia e in Inghilterra dell’imprenditore russo che, forse, non ha mai smesso di essere spia
La brezza di fine di aprile iniziava a farsi sentire anche tra i tavolini e gli ombrelloni bianchi, disposti ordinatamente sul pratino all’inglese. Tirava dal bosco, che avvolge la magione in una buia morsa ovattante. Dalla lontana strada in fondo alla vallata, a guardare lungo quell’imbuto naturale, si distinguevano le lucine di una festa, il clamore degli ospiti mischiato ai bassi della musica. Un mondo distante in tutti i sensi, quello contenuto da Palazzo Terranova, rispetto alla manciata di edifici che sorgono nella frazione di Ronti, quaranta anime appena, strette tra i campi e i boschi a dieci chilometri dal comune umbro di Città di Castello. Nella lussuosa residenza invece, un palazzo di tre piani ispirato alle ricche tenute medicee, l’elegante cena aveva ormai lasciato posto a una festa, anzi un festino. Escort tra le più belle al mondo, vassoi di sostanze stupefacenti e travestimenti – almeno così riferiscono a IrpiMedia persone presenti all’evento. Dietro le maschere, vip del mondo dello spettacolo e del cinema inglese, ma anche un politico di peso: l’allora ministro degli Esteri del Regno Unito, Boris Johnson.
Qui, all’ombra del monte di Santa Maria Tiberina, tra le isolate campagne umbre di Ronti dove nulla fa presagire la presenza di sfarzo e potere, i servizi segreti italiani hanno monitorato per anni ogni movimento. È il 28 aprile 2018, ed è la data che dà inizio a uno scandalo internazionale. Quella mattina, l’allora Ministro degli Esteri inglese Boris Johnson stava partecipando a un summit della Nato a Bruxelles. All’ordine del giorno c’era l’avvelenamento di due cittadini russi sul suolo britannico: uno di loro è una ex spia doppiogiochista al servizio degli inglesi. Johnson, però, abbandona la riunione Nato prima del termine e, senza scorta, raggiunge palazzo Terranova per il party organizzato dai padroni di casa: una famiglia di oligarchi russi, i Lebedev.
È già qualche anno che a Palazzo Terranova vengono ospitate quelle che l’intelligence italiana definisce «feste a luci rosse». Ma attenzione a classificarle come frivoli eventi goderecci: secondo il Copasir – il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica – il pater familias, Alexander Lebedev, è in Italia per partecipare a «operazioni di spionaggio e interferenza» volte ad acquisire influenza e avviare affari nel settore immobiliare, finanziario ed energetico.
Adesso, una collaborazione internazionale di IrpiMedia, Occrp e Channel4 – coordinata dalla casa di produzione cinematografica True North e andata in onda con il documentario “Boris, the Lord and the Russian Spy” su Channel4 – svela i retroscena dell’ingerenza russa in Inghilterra, portata avanti da Alexander Lebedev e arrivata fino ai vertici del potere. IrpiMedia ha ricostruito inoltre come le relazioni intessute in Umbria siano servite a curare interessi anche in Italia, compresi quelli rivolti al settore energetico.
L’inchiesta in breve
- Nel 2018 a Palazzo Terranova, in Umbria, ha origine uno scandalo internazionale. L’allora ministro degli Esteri inglese Boris Johnson lascia un summit NATO dove si discute delle crescenti ostilità russe e, senza scorta, raggiunge un party organizzato da una famiglia di oligarchi russi, i Lebedev.
- I Lebedev in Inghilterra sono imprenditori rispettati, ma non tutti credono alle dimissioni di Alexander dal Kgb nel 1992. Tra chi solleva dubbi c’è l’intelligence italiana, che monitora i Lebedev da quando acquistano proprietà in Umbria. Per gli 007, Alexander è in Italia per partecipare a «operazioni di spionaggio e interferenza».
- Tra le attività imprenditoriali dei Lebedev c’è l’acquisto di giornali: Novaya Gazeta, The Independent e Evening Standard. È con quest’ultimo, sopravvissuto soltanto grazie alle donazioni dell’ex spia del Kgb, che i Lebedev sostengono la scalata politica di Boris Johnson.
- Johnson ha visitato frequentemente le ville umbre dei Lebedev, dove secondo l’intelligence italiana avvenivano «feste a luci rosse» e dove si teme che i russi abbiano raccolto materiale compromettente e spiato le conversazioni degli ospiti.
- Una collaborazione tra Channel4, True North, OCCRP e IrpiMedia è in grado di svelare la portata dell’operazione di ingerenza russa dei Lebedev.
- IrpiMedia ha inoltre ricostruito come l’Umbria abbia ospitato relazioni fondamentali per la gestione di interessi commerciali che includono il settore energetico e l’allora Console onorario di Grecia a Perugia.
Vizi di famiglia: la ex spia e il barone degli Hampton e della Siberia
Il 63enne moscovita Alexander Lebedev è stato a lungo incluso nella lista dei 400 uomini più ricchi al mondo stilata dalla rivista statunitense Forbes, anche se dal 2008 in poi la sua fortuna ha subito un forte ridimensionamento. D’altronde Lebedev raramente perde l’occasione per rimarcare come in Russia venga trattato alla stregua di un dissidente politico. È vero, detiene un quantitativo importante di asset strategici disseminati tra Aeroflot, Gazprom e Sberbank, ma insegue una passione apparentemente scomoda, legata al mondo dell’editoria: insieme all’ex presidente dell’Unione Sovietica Michail Gorbaciov aveva rilevato metà della proprietà del quotidiano Novaya Gazeta – la testata giornalistica nota per aver pubblicato le inchieste anti-Putin della giornalista Anna Politkovskaja, assassinata nell’ascensore del suo condominio nel 2006. Lebedev ha smesso di finanziare attivamente la testata nel 2015 ma viene ricordato come un buon editore dai giornalisti della Gazeta, che durante la sua permanenza non hanno segnalato ingerenze riguardanti la linea editoriale.
Il suo approccio alla stampa in Inghilterra, invece, è stato diverso. Insieme a suo figlio Evgeny, Alexander Lebedev ha rilevato la proprietà di due quotidiani: l’Independent e l’Evening Standard. Di quest’ultimo, in particolare, ha stralciato il prezzo di vendita, provvedendo a distribuirlo gratuitamente nei pressi delle fermate della metro di Londra e aumentando vertiginosamente la circolazione del quotidiano in breve tempo. I Lebedev nel Regno Unito sono talmente rispettati che Evgeny prende parte regolarmente a eventi di beneficenza insieme a profili politici di spessore, come quando nel 2015 ha dormito in sacco a pelo insieme all’allora sindaco di Londra Boris Johnson per raccogliere fondi destinati ai veterani di guerra senza fissa dimora. Proprio per i suoi meriti filantropici, qualche anno più tardi, Evgeny verrà nominato membro a vita della Camera dei Lord inglese con il titolo di Barone degli Hampton e della Siberia.
L’ingresso nella società inglese dei Lebedev, tuttavia, è stato accompagnato sin dall’inizio da critiche. Per sua stessa ammissione, Alexander ha lavorato come spia del Kgb – i servizi segreti sovietici – sfruttando un impiego fittizio come terzo segretario dell’ambasciata sovietica a Londra tra il 1988 e il 1992, anno in cui sarebbe stato obbligato a rassegnare le dimissioni dai servizi segreti russi dopo aver avviato un percorso imprenditoriale indipendente.
È allora che inizia la sua scalata nella finanza russa che lo porterà a diventare uno degli uomini più ricchi al mondo. Insieme a collaboratori provenienti, come lui, dal mondo dello spionaggio russo in Inghilterra, apre la Russian Investment Finance Company (Rifc) e nel ‘95 rileva la National Reserve Bank (Neb), all’epoca un piccolo istituto bancario in grave difficoltà e oggi annoverata dal Copasir «tra le principali banche russe e che nel tempo avrebbe avuto consolidati rapporti con l’Fsb» – il nome acquisito dai servizi segreti dopo la proclamazione della Federazione Russa.
L’ascesa di Lebedev ben rappresenta un fenomeno tipico degli anni ‘90, quando in Russia gli asset strategici della nuova economia privatizzata erano un boccone appetitoso per le ex spie del Kgb e sono stati depredati: gli ex sodali dell’intelligence sovietica erano legati tra loro a doppio filo e insieme puntavano all’alta finanza.
Quelle dimissioni “Poco chiare” dal Kgb
Tra le istituzioni che sollevano dubbi sul fatto che Alexander Lebedev abbia dismesso del tutto i panni da spia nel 1992 c’è anche l’intelligence italiana, che monitora la sua presenza in Italia a partire dal 2008, anno in cui compie operazioni immobiliari in Umbria per decine di milioni di euro.
Secondo i nostri apparati di sicurezza, Lebedev avrebbe preso parte a «operazioni di spionaggio e di ingerenza» volte a «condizionare le scelte societarie e governative» dei Paesi in cui l’oligarca svolge affari, tra cui anche l’Italia. Una valutazione che avrebbe dovuto preoccupare non solo il governo italiano, ma anche gli apparati di sicurezza inglesi, visto che gli immobili dei Lebedev in Umbria sono stati visitati da figure di spicco della politica britannica, tra cui due ex primi ministri come Tony Blair e il già citato Boris Johnson.
Il rapporto stilato dagli 007 è parte di un resoconto più ampio sulle ingerenze russe in Italia. La deputata parlamentare e vicepresidente della Commissione Esteri Lia Quartapelle, che ha potuto consultare il rapporto, ritiene che le proprietà umbre dei Lebedev possano essere «parte integrante di una rete di contatti» e di una «strategia di influenza» attiva in Italia. Motivo per cui la nostra intelligence monitorava con attenzione sia le personalità presenti nelle dimore umbre che la frequenza delle visite, ha riferito la parlamentare.
Stando al dossier, che nel 2019 è arrivato fin sulla scrivania dell’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il percorso imprenditoriale avviato da Lebedev nel 1992 non fu motivo di conflitto con il Kgb, anzi: l’ex tenente colonnello avrebbe avviato la sua carriera «sfruttando le entrature acquisite grazie al lavoro da agente».
Secondo il Copasir, Lebedev sarebbe ancora oggi un asset del governo russo e godrebbe «del favore dell’amicizia di Vladimir Putin». L’amicizia è sicuramente di lunga data, e abbastanza stretta da permettere a Lebedev padre di cercare un ruolo di primo piano. Nel corso di questa inchiesta sono state infatti rinvenute diverse lettere scritte da Lebedev senior e indirizzate a Vladislav Surkov, uno dei consiglieri più fidati di Vladimir Putin e una delle menti dietro l’occupazione della Crimea. Si tratta di lettere scritte poche settimane dopo l’invasione del 2014, in cui Lebedev invita i leader mondiali a prendere parte a una conferenza di pace in una struttura di sua proprietà in Crimea.
E mentre Lebedev padre cercava di ritagliarsi uno spazio come mediatore in ambito internazionale, suo figlio Evgeny partecipava a un talk-show televisivo inglese, spiegando agli spettatori che «la Crimea è da molti, molti anni, molti secoli, parte della Russia e soltanto recentemente è diventata Ucraina».
Evgeny Lebedev ha dichiarato a IrpiMedia che «le accuse mosse ad Alexander Lebedev, che lo descrivono come coinvolto in attività di spionaggio e interferenza negli affari italiani, sono insensate».
Alexander Lebedev e Evgeny Lebedev all’Animal Ball 2016 presentato dalla Elephant Family a Victoria House, November 22, 2016 a London, Inghilterra – Foto: David M. Benett/Dave Benett/Getty Images per la Elephant Family
Amicizie consolari e accordi energetici
Dalla diplomazia all’energia, il passo è breve. Secondo il rapporto del Copasir Lebedev sarebbe stato coinvolto anche «in tentativi di Gazprom (e del governo russo, suo principale azionista) di acquisire una posizione di controllo sulla filiera mondiale della distribuzione delle risorse energetiche». L’oligarca avrebbe lavorato per aprire nuove relazioni energetiche in Italia, in particolar modo per quanto riguarda il progetto – ormai abbandonato – del gasdotto South Stream.
Nello specifico, per perpetrare gli interessi russi in Italia, Lebedev si sarebbe avvalso dell’allora console onorario di Grecia, Nikolaos Christoyannis, all’epoca di stanza a Perugia. Un uomo che conosce bene il panorama italiano: la sua attività consolare in Italia è attestata sin dal 1986. Secondo il Copasir, Christoyannis avrebbe accompagnato Alexander Lebedev in molti dei suoi viaggi italiani e sarebbe stato «all’uopo indottrinato» dai russi. Ma c’è di più: la nostra intelligence pone in diretta relazione l’arrivo dei Lebedev in Umbria nel 2008 con la nomina di Christoyannis a direttore del ramo aziendale greco della Ghizzoni Spa, una società con sede a Ferrandina, in provincia di Matera, specializzata nella produzione di condotti ad alta pressione per il trasporto di petrolio e gas naturale liquefatto oltre che nella costruzione di stazioni di pompaggio e compressione del gas stesso.
La Ghizzoni avrebbe dovuto contribuire alla realizzazione del gasdotto South Stream, un progetto controverso anche perché prevedeva una joint-venture tra Eni e Gazprom. L’avvicinamento tra il gigante energetico italiano e il suo omologo russo non veniva visto di buon occhio dai partner internazionali. In quegli anni, infatti, era in corso un braccio di ferro tra l’Unione Europea e la Russia per la realizzazione di un gasdotto che permettesse al Vecchio Continente di far fronte al suo crescente fabbisogno energetico. I due progetti in competizione erano il Nabucco, sostenuto da diversi Paesi UE, e il South Stream, sponsorizzato da Gazprom, e che avrebbe coinvolto diverse multinazionali europee tra Eni, Wintershall, Edf.
La preferenza di Eni accordata a Gazprom e al South Stream preoccupava anche i funzionari dell’Ambasciata statunitense a Roma. In seguito a un incontro avvenuto il 18 marzo del 2008 tra il consigliere economico dell’Ambasciata e Marco Alverà, all’epoca Head of Gas Supply & Portfolio Development, l’Ambasciata Usa mandò il seguente cablogramma a Washington, emerso grazie a Wikileaks: «Il briefing di Eni ricordava il linguaggio ambiguo di tipico stampo sovietico. Secondo Eni, la sicurezza energetica europea verrebbe rafforzata – non indebolita – attraverso nuovi gasdotti verso la Russia. Secondo Eni, nel confronto energetico tra Russia e Ucraina, i cattivi sono gli Ucraini – non i Russi. Parlando con Eni a volte si ha l’impressione di parlare con Gazprom».
In questo complesso scacchiere internazionale, Christoyannis agiva come responsabile legale del ramo d’azienda greco della Ghizzoni SpA, come ha potuto verificare IrpiMedia. È un ruolo importante, poiché il ramo basso del South Stream sarebbe dovuto passare proprio dalla Grecia prima di arrivare in Puglia. Gli investimenti non trovarono mai un riscontro effettivo in quanto il progetto South Stream non venne realizzato. La Nuova Ghizzoni SpA (nuova forma della società) non ha risposto alle domande di IrpiMedia, ma i suoi vertici manageriali sono comunque risultati del tutto estranei ai rapporti, sui quali si è concentrata l’attenzione dei nostri apparati di intelligence, autonomamente coltivati da Christoyannis con i propri referenti russi.
Ad oggi la Ghizzoni SpA Greek Branch risulta essere chiusa, ma dall’elenco incarichi della Ghizzoni Spa emerge un compenso di 50mila euro a Nikolaos Christoyannis in virtù di un contratto stipulato nel 2017 come consulente legale per aiutare il ramo aziendale greco della Ghizzoni a smaltire le pratiche con clienti e fornitori.
Il legame tra la Russia e la famiglia Christoyannis coinvolge anche Konstantinos, figlio di Nikolaos, succeduto al padre come console onorario di Grecia a Perugia nel 2013. Konstantinos, oltre a partecipare a eventi in Umbria che promuovevano interessi convergenti tra Italia, Grecia e Russia, è stato supervisor legale delle elezioni presidenziali in Russia nel 2018, oltre che della privatizzazione del porto di Salonicco, acquistato dall’oligarca greco-russo Ivan Savvidis.
Contattato per un commento, Konstantinos Christoyannis ha detto: «Né io né mio padre abbiamo informazioni alcune né tantomeno conosciamo direttamente o indirettamente la famiglia Lebedev, o persone riconducibili alla stessa». Non è stato invece possibile raggiungere il padre, Nikolaos Christoyannis.
Oggi a Perugia, il Consolato di Grecia è chiuso. Nikolaos Christoyannis sembra aver lasciato l’Italia, mentre Konstantinos Christoyannis si è trasferito a Roma per lavorare nel settore della governance ambientale, sociale e aziendale.
La montagna dei russi nel cuore d’Italia
I Lebedev arrivano in Italia in punta di piedi. Entrano a Palazzo Terranova prima come turisti di lusso, e poi fanno un’offerta irrinunciabile. I vecchi proprietari inglesi – che avevano costruito il palazzo sopra i resti di una vecchia porcilaia – vengono convinti dall’affabilità di Alexander, e nel 2006 vendono l’attività ricettiva di country house, compresi i contratti con il personale, l’arredamento, macchinari agricoli e parco auto per 729 mila euro. Poco meno di un milione, a cui poi si aggiunge un pagamento aggiuntivo per l’immobile.
In nome della discrezione i Lebedev acquistano anche le proprietà intorno al Palazzo: boschi, terreni, dei ruderi che tagliano la strada e un casale sul versante opposto, proteggendo la proprietà con telecamere e filo spinato. Tutto sembra voler scoraggiare le incursioni dei curiosi: in auto ci si arriva inerpicandosi sul crinale, sempre più scosceso, costeggiando una valle a imbuto, fino al cancello della villa. La strada lì si blocca, prosegue sulla destra ma diventa inagibile. La riservatezza è totale, e a raccontare cosa avvenisse davvero nel Palazzo, non si trova nessuno. «I dipendenti ed ex dipendenti hanno degli accordi di riservatezza (Nda) pazzeschi, con richieste di danni milionari in caso di rivelazioni», ha spiegato a IrpiMedia un giornalista della zona. Anche lui non è stato autorizzato a rilasciare commenti ufficiali da parte del direttore della testata per cui lavora. Ma qualcosa ha visto: c’era «un servizio d’ordine pubblico rafforzato in certe date estive, con numerosi agenti di polizia dispiegati. Come si fa quando viaggiano i primi ministri. Dubito che sia stato ordinato dal commissariato di Città di Castello, è chiaro che gli ordini arrivavano da più in alto», spiega il giornalista. Per le istituzioni della zona, la presenza è stata «invisibile». Il sindaco dell’epoca (2018), Luciano Bacchetta, sostiene di non avere mai incontrato né i Lebedev, né Boris Johnson. «Se la loro presenza c’è stata, è stata una presenza fantasma».
E un fantasma, si sa, non può che trovarsi un castello. Lord Lebedev lo troverà a 40 chilometri da Palazzo Terranova, più a sud, appena dietro Perugia. Due anni dopo l’acquisto di Palazzo Terranova, nel 2008, Lebedev acquista anche il castello di Procopio: un rudere sulla cima del Monte Tezio, uno dei monti più mistici dell’Umbria, avvolto da foreste millenarie e da una vista mozzafiato sui Sibillini.
Il rudere era stato acquistato a marzo 2008 da un piccolo imprenditore di Gubbio che ha uno dei più grandi negozi fantasy del centro Italia e un sogno: a Procopio voleva costruire il primo villaggio medievale dell’Umbria, castello e ponte levatoio inclusi, dove organizzare giochi di ruolo e vita secondo lo stile dell’epoca. Quello che non aveva calcolato è che di lì a poco «un ricco imprenditore inglese» gli avrebbe fatto un’offerta irrinunciabile: due milioni di euro per un rudere che lui aveva pagato meno di un terzo.
«Il mio vicino mi ha detto che c’era un suo amico interessato, che era una persona seria. Io non volevo vendere, volevo costruire il mio sogno. Ma chi può permettersi di rifiutare una tale offerta?», spiega l’uomo circondato da antiche spade e con la certezza di essersi fatto soffiare il castello dei sogni. Lebedev non lo guarderà mai negli occhi. A firmare per la Santa Eurasia srl (la società con cui l’oligarca possiede entrambi gli immobili in Umbria) è Roger Ingold, un intermediario svizzero di fiducia.
«Il vicino di casa», invece, sarebbe stato Alessio Carabba Tettamanti, un avvocato italiano di nobili origini. Tramite una società di famiglia, i Carabba Tettamanti posseggono una gigantesca porzione del Monte Tezio: tenute, borghi, un castello e una strada attraversa il monte fino al versante opposto.
I media inglesi chiamano il Monte Tezio la “Montagna dei russi” perché sulle sue pendici oltre alla dimora dei Lebedev, c’è anche la tenuta di un’altra ricchissima famiglia russa, gli Yakunin. Si tratta di un golf club, l’Antognolla Golf, che contiene anche un castello in ristrutturazione: è di proprietà di Andrei Yakunin, figlio anche lui di un ex agente del Kgb, Vladimir Yakunin, che è stato anche presidente delle ferrovie russe dal 2005 al 2015.
«Non ho mai incontrato Yakunin», ha dichiarato Evgeny Lebedev a IrpiMedia. I due, che non risulta abbiano investimenti assieme in Umbria, si sono affidati a un comune contatto: sempre Alessio Carabba Tettamanti. Quest’ultimo è infatti azionista di minoranza sia in Santa Eurasia, società di Evgeny Lebedev, sia in Antognolla spa, di Andrei Yakunin.
Come riferisce lui stesso a IrpiMedia, conosce Lebedev da oltre 15 anni e Yakunin dal 2013 «quando ha investito nella Antognolla SpA e nel suo progetto turistico», del quale Carabba Tettamanti è socio «sin dal 2010». Per quanto riguarda il suo coinvolgimento nella Santa Eurasia Srl – la compagnia di Evgeny Lebedev – Carabba Tettamanti afferma: «L’1% è a me intestato in via esclusivamente fiduciaria, quale avvocato di Evgeny Lebedev, al fine di mantenere la pluralità formale dei soci».
È una legale del suo studio, e amministratrice unica della Santa Eurasia, a firmare l’opposizione alla richiesta di accesso agli atti inviata da IrpiMedia ai comuni di Città di Castello e di Perugia per poter visionare le pratiche edilizie del Castello di Procopio e di Palazzo Terranova. Arrecano pregiudizio alla tutela dei dati personali e all’attività economica, scrive l’avvocata. La pubblica amministrazione, dal canto suo, ha scelto di privilegiare l’interesse commerciale di un oligarca russo, invece che assicurare trasparenza, negando l’accesso ai documenti.
Londongrad e il Kompromat
Il viavai di politici di spessore, tra cui Tony Blair e Boris Johnson, che caratterizza le proprietà umbre dei Lebedev è un dato che desta preoccupazione all’interno degli apparati di sicurezza oltremanica. Matthew Dunn, ex agente dell’Mi6 – l’equivalente inglese dell’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna – ha ricordato che «i politici non sono addestrati a gestire situazioni del genere. Si mettono immediatamente in una posizione estremamente vulnerabile – ha affermato Dunn – approcciarsi in modo ingenuo o indifferente significa mostrare il fianco alla possibilità di diventare vittima di ricatto».
È anche per questo che i servizi di intelligence inglesi erano particolarmente preoccupati dalle visite di Johnson a Palazzo Terranova quando ricopriva la carica di ministro degli Esteri. Sia perché viaggiava senza scorta, e non aveva avvisato il gabinetto, sia perché le conversazioni dei presenti erano di fatto vulnerabili. «A quelle feste poteva succedere qualsiasi cosa. Anche i numeri di telefono e il traffico telefonico dei presenti potevano essere intercettati facilmente», ha dichiarato l’ex capo del dipartimento russo dell’Mi6 Christopher Steele.
La totale rottura di protocollo da parte di Boris Johnson nel 2018 sancì l’inizio dei lavori di una Commissione parlamentare inglese a causa del timore che il politico fosse stato vittima di un vero e proprio Kompromat. All’epoca Johnson tentò di affermare che Lebedev padre non fosse presente all’evento che si è tenuto il 28 aprile 2018, salvo essere smentito dallo stesso Alexander qualche mese dopo.
Boris Johnson, Evgeny Lebedev e Rachel Johnson alla celebrazione dell’evento “Evening Standard’s 1000 Most Influential Londoners” ospitato dal giornale inglese al Burberry Regent Street il sette novembre 2012 a Londra, Inghilterra – Foto: Dave M. Benett/Getty Images
Tra Johnson e i Lebedev c’è un’amicizia di lunga data, frutto anche del sostegno alle sue campagne politiche sposate dai quotidiani inglesi dei Lebedev. Grazie all’inchiesta di IrpiMedia, True North e OCCRP è stato possibile dimostrare come la gestione di entrambi i giornali inglesi Evening Standard e Independent, generasse una continua emorragia di denaro. Inoltre, i conti della società attraverso cui i Lebedev controllavano i quotidiani – la Lebedev Holdings Limited – dimostrano come la sopravvivenza delle testate dipendesse esclusivamente dalla generosità dell’ex spia Alexander, che tra il 2009 e il 2015 ha prestato almeno 115 milioni di sterline al progetto editoriale. In altre parole, i Lebedev hanno finanziato una gestione aziendale a perdere sostenendo, tra le altre cose, le battaglie politiche di Johnson.
La vicinanza di Boris Johnson a un oligarca, tuttavia, non è l’unico elemento attenzionato dagli apparati di sicurezza inglesi, che da anni monitorano la crescente presenza russa a Londra e in tutta la Gran Bretagna. Nel novembre 2017 ha inizio un’indagine formale, il cui risultato è contenuto in un dossier – il cosiddetto “Russia Report” – che arriva sulla scrivania del primo ministro inglese il 17 ottobre 2019. La carica è già ricoperta da Boris Johnson, subentrato a fine luglio alla premier dimissionaria Theresa May, grazie al sostegno del partito conservatore. Per legittimare la sua posizione nei confronti dell’elettorato vengono indette nuove elezioni per il 12 dicembre 2019. Johnson, in attesa del voto, non ritiene opportuno pubblicare il dossier sulle ingerenze russe.
Quando Johnson viene confermato primo ministro, decide di festeggiare la vittoria proprio a casa dei Lebedev, a Londra. Tra le personalità di spicco presenti per l’occasione ci sono altri esponenti di punta del partito conservatore, come George Osborne, all’epoca redattore dell’Evening Standard di proprietà di Lebedev ed ex ministro delle finanze.
Non passa molto tempo prima che Boris Johnson ripaghi i Lebedev per il sostegno ricevuto durante la sua carriera politica. A marzo 2020, poco più di tre mesi dopo aver vinto le elezioni, Johnson propone Evgeny come membro a vita della House of Lords, rigettando il parere del comitato per la selezione dei lord (Holac) e addirittura ignorando quello dell’Mi6. Stando alle testimonianze raccolte a margine dell’inchiesta, due agenti dei servizi segreti inglesi si sarebbero recati di persona a Downing Street per illustrare al neo primo ministro le ragioni che rendevano Evgeny Lebedev inadatto alla nomina. Ma Johnson, furioso, avrebbe definito la richiesta «russofobica», proseguendo per la sua strada.
Secondo Christopher Steele, ex capo del dipartimento russo dell’Mi6, si trattò del primo caso nella storia inglese in cui una nomina al parlamento ha costituito un rischio per la sicurezza nazionale. In quei giorni poi – riferiscono fonti informate sui fatti – ha avuto luogo un evento senza precedenti: alcune cariche istituzionali, seriamente preoccupate dalla possibilità che Evgeny Lebedev diventasse Barone, si rivolsero direttamente alla Regina Elisabetta, l’unica persona con il potere formale di bloccare la nomina. Buckingham Palace, però, rifiutò di intervenire per paura di politicizzare la figura della monarca.
Boris Johnson ha dichiarato a Channel4 di rimanere un sostenitore della nomina di Evgeny Lebedev alla House of Lords e che è stata rispettata la normale procedura, negando di avere ignorato i consigli dei reparti di sicurezza. Mentre Evgeny Lebedev ha dichiarato che «Johnson è cosciente del consiglio dei reparti di sicurezza, e non ritiene che alcun tentativo sia stato fatto dai reparti per persuadere il primo ministro a ritirare la candidatura».
Il famigerato Russia Report venne diffuso soltanto il 20 luglio del 2020. Ovvero, una decina di giorni prima che Evgeny diventasse Barone. In uno dei passaggi divenuti più noti afferma che la «penetrazione russa è la nuova normalità».
Oggi a Palazzo Terranova fervono i preparativi per la nuova stagione estiva. D’altronde, la ricca tenuta non è congelata perché né Alexander né Evgeny sono stati toccati dalle sanzioni europee contro gli oligarchi russi considerati vicini a Putin. Sono solo due i Paesi che la pensano diversamente, l’Ucraina e il Canada.
Dennis Molinaro, ex analista dei servizi segreti canadesi, ritiene preoccupante come a livello politico, sia in Inghilterra che in Europa, non si sia fatto nulla per limitare l’influenza di Lebedev. «Il rischio è che lui sia nelle condizioni di porre fine alla carriera politica di alcuni personaggi – ha spiegato l’analista – non credo sia possibile per una persona come Alexander, in passato così legato al Kgb, semplicemente terminare quella carriera. In particolar modo se il governo russo riconosce la sua rete di contatti all’infuori del Kgb come potenzialmente utile. Ritengo che il rapporto con le agenzie di intelligence dello Stato russo sia ancora attivo».
Fonte: testata IrpiMedia