Via D’Amelio diventi un Giardino alla memoria di Paolo Borsellino e della sua scorta

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Via D’Amelio, a Palermo, è una strada senza uscita, dove le macchine sono parcheggiate in ogni spazio disponibile ai piedi dei tanti palazzoni che insistono sulla strada. Ancora oggi risulta un esercizio difficile riuscire a trovare un posto auto per chi non sia un residente.

Via D’Amelio è rimasta la stessa via che accolse nel pomeriggio del 19 luglio, una calda domenica di trentuno anni fa nel cuore dell’estate, il corteo di macchine blindate che accompagnava il giudice Paolo Borsellino presso l’abitazione della madre e della sorella.

Non era una meta insolita per il magistrato che, all’indomani della strage di Capaci, in cui avevano perso la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della Polizia di Stato, aveva raccolto il testimone, se non per la maggior parte delle istituzioni, sicuramente per moltissimi cittadini che vedevano in lui l’unico in grado di continuare la battaglia contro il cancro mafioso nel nome dello Stato e della legge.

Ecco perché i responsabili dell’incolumità del giudice, i capi della scorta lui assegnata avevano segnalato più volte ai loro superiori la necessità che in quella via fosse disposta la sosta vietata con la conseguente rimozione. Una precauzione assolutamente dovuta – perfino scontata, verrebbe da dire – se si fosse voluto tutelare seriamente la vita di Borsellino nei confronti dei possibili attacchi terroristici della mafia che, per eliminare Falcone, non aveva esitato a far saltare per aria un intero tratto di autostrada.

Talmente dovuta, talmente scontata quella precauzione non doveva essere però se, a fronte delle ripetute richieste, nessuno pensò di doverla adottare.

Ecco perché arrivando quella domenica pomeriggio, le auto della scorta di Borsellino dovettero fare le solite e complicate manovre in spazi ristretti per avvicinarsi il più possibile alla portineria dello stabile dove abitavano i congiunti del giudice. E chissà che anche quel giorno, in quei pochi minuti di vita che gli restavano, non sia venuto in mente all’assistente capo Agostino Catalano di inoltrare l’ennesima richiesta a fronte del rischio evidente che significava il dover transitare per quei pochi metri di strada lasciati liberi dalle vetture.

Non ebbe il tempo Catalano forse di lamentarsi, come non ebbero il tempo gli altri agenti – Emanuela Loi, Eddie Walter Cosina, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli – di realizzare la loro fine, visto che rimasero investiti in pieno dalla deflagrazione dell’autobomba piazzata tra le altre macchine che non avrebbero dovute essere lasciate libere di sostare in quell’area a rischio.

Dolo? Ritardo? Coincidenza? Non è mai stato dato modo di conoscere la realtà su quanto accadde allora. Di certo si sa soltanto che, all’indomani della strage, il prefetto Mario Jovine e il questore Vito Plantone furono trasferiti. Il procuratore capo di Palermo di allora, Pietro Giammanco invece finì in Cassazione, dove chiuse il suo percorso professionale nel 1999. Giammanco si era reso protagonista di diversi scontri accesi con il suo procuratore aggiunto, prima che questi fosse ucciso il 19 luglio. Tra i motivi dei diversi litigi, anche la mancata comunicazione di un’informativa del Ros dei Carabinieri dove si dava conto della possibilità di un attentato ai danni proprio di Borsellino.

Ad un anno dalla strage, nel 1993, fu la famiglia Borsellino, su iniziativa di Maria Pia Lepanto, madre del giudice, a valore segnalare il luogo della strage in modo consono e fu piantumato un ulivo di fronte alla portineria che aveva visto cadere Borsellino e i suoi agenti di scorta. La pianta fu fatta arrivare da Betlemme, grazie alla collaborazione di realtà locali e internazionali, con l’idea che anziché violenza e morte, quel luogo potesse evocare da lì in avanti pace e speranza.

Dopo tanti anni l’ulivo, contendendo spazio ai parcheggi selvaggi, è cresciuto rigoglioso ed è visibile da ciascuno collegandosi al sito Live Via D’Amelio. Grazie ad una telecamera piazzata in loco è possibile vedere in diretta le immagini dalla via palermitana.

Però l’ulivo oggi non basta più, anche perché le macchine continuano ad insidiare la presenza di quel simbolo che, solo in occasione del 19 luglio e di altre manifestazioni ad hoc può essere fruibile nella sua bellezza e significatività.

Ecco perché in questi ultimi giorni il fratello del magistrato, l’ingegnere Salvatore Borsellino ha lanciato una petizione su Change.org affinché in Via D’Amelio sia realizzato un vero e proprio giardino della memoria.

«Mi è nato dentro un sogno – spiega così Salvatore Borsellino – che quello che oggi è soltanto un posteggio di auto possa diventare finalmente un Giardino della Memoria dove le centinaia di persone che ogni giorno, a tutte le ore del giorno, vengono davanti a quell’albero, possano sostare in raccoglimento, magari sedendosi a riposare su delle panchine che lo circondino delle aiuole che lo delimitino, senza doversi districare in mezzo alle auto, facendo ritornare quel luogo quello che è e che deve essere, un luogo sacro e non soltanto un posteggio per le auto».

Ad ora hanno già firmato oltre 81.000 persone e la raccolta firme ha già prodotto un primo importante risultato, oltre l’attenzione di alcuni importanti media: grazie ad una mozione di Giuseppina Chinnici, consigliera della Ottava Circoscrizione del Comune di Palermo, all’interno della quale ricade Via D’Amelio, si è avviato l’iter per vincolare l’ulivo come bene culturale protetto, cosa già avvenuta per l’albero Falcone in via Notarbartolo, altro potente simbolo per le generazioni passate, presenti e speriamo future.

Chi firma la petizione vuole condividere il sogno di Salvatore Borsellino, desidera rendere omaggio imperituro al magistrato e alle vittime di quel terribile 19 luglio che verrà commemorato tra poche settimane anche da chi farebbe meglio a starsene a casa.

Oltre ogni retorica, questo gesto concreto è senza dubbio il modo migliore che abbiamo per onorare la memoria dei nostri caduti nella lotta alla mafia.

Fonte: Libera Informazione


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