Dopo sette anni, a Roma rigettata in primo grado la richiesta di risarcimento danni di Telesud contro Libera Informazione.
Fissata a Bergamo, tra quasi un anno, la prima udienza del processo per diffamazione e stalking ai danni di Paolo Berizzi.
Un piccolo giro d’Italia all’insegna del cortocircuito tra informazione e giustizia.
Tempi duri – certamente non da oggi – per chi vuole fare informazione nel nostro Paese. Tempi resi ancora più complessi quando la libertà di stampa finisce sotto tiro con accuse strumentali e false, oppure si moltiplicano, spesso via social, le minacce gratuite e pericolose e si finisce così davanti ad un tribunale della Repubblica.
La settimana di Libera Informazione si era aperta con la notizia del rigetto da parte del tribunale di Roma della richiesta di Telesud di Trapani di un risarcimento danni per diffamazione. Ad avviare il percorso giudiziario era stata la pretesa dell’emittente televisiva di vedere riconosciuti i danni, danni che sarebbero stati causati da un nostro articolo che ricostruiva la compagine societaria della proprietà della tv siciliana, dando conto di una consistente originaria partecipazione consistente della famiglia D’Alì. Ricordiamo che il principale esponente dei D’Alì, Antonio, già sottosegretario agli interni, dal dicembre 2022 si trova in carcere per scontare una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa.
L’articolo oggetto di querela prendeva le difese del collega Rino Giacalone che, secondo quanto abbiamo scritto esercitando un legittimo diritto di critica, era finito sotto tiro della TV trapanese insieme agli esponenti locali di Libera, proprio in ragione della sua attività giornalistica (e associativa) volta a illuminare le vicissitudini processuali del potente casato trapanese. Gli articoli di Giacalone per La Stampa e altri per Libera Informazione e Articolo 21 sono stati a lungo l’unica voce a raccontare quello che avveniva in tribunale a Trapani, nel mare del silenzio osservato dagli altri mezzi di comunicazioni locali e nazionali.
Bene, quel provvedimento instaurato con procedura di urgenza, dopo uno scontato e inutile tentativo di mediazione, obbligatorio per legge, è finalmente arrivato a conclusione, anche se ci sono voluti solo 7 anni!
Vedremo se e come ci sarà un seguito.
Seguito che ci sarà invece per il processo in danno di uno dei tanti haters che hanno contribuito a rafforzare i motivi di preoccupazione per la incolumità di Paolo Berizzi, unico collega in Italia e in Europa ad essere finito sotto scorta per le sue inchieste giornalistiche sull’estrema destra e le organizzazioni di ispirazione neofascista che, in anni recenti, nonostante il divieto della Carta Costituzionale della ricostituzione del partito fascista sotto altre spoglie e le tanti stragi operate dai terroristi neri che hanno insanguinato le nostre piazze, sono tornate a rialzare la testa e a pretendere impunità per le loro azioni.
Negli ultimi anni, dalle minacce fisiche che hanno costretto le autorità di pubblica sicurezza a garantire una tutela fisica a Berizzi si è passati agli insulti, alle minacce via social, non meno fastidiose e pericolose.
Questa mattina eravamo a Bergamo per l’udienza preliminare di uno dei ben sedici procedimenti aperti dalla difesa del giornalista a partire dal 2020, originati da insulti e minacce facilmente immaginabili e documentati in aula, qui ovviamente irripetibili per non offrire ulteriore palcoscenico ai loro autori, compreso quello odierno.
Con noi, in rappresentanza di Articolo 21 e Libera Informazione, sono arrivati a sostenere Berizzi anche Veronica Deriu, consigliera nazionale Fnsi e dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti, Francesco Breviario, referente di Libera Bergamo e Gerardo Melchionda, già referente regionale di Libera Basilicata e ora nello staff provinciale dell’associazione.
Una ristretta ma significativa “scorta mediatica” che ha ingenerato anche qualche problema di procedura. Trattandosi infatti di udienza preliminare non avremmo potuto presenziare in aula, ma il giudice in seguito alla segnalazione del personale di sicurezza, ha consentito che potessimo assistere in ragione dell’interesse diffuso del processo, provvedendo prima a registrare i nostri nominativi e cariche nel verbale di udienza.
Dopo questa piccolo imprevisto, l’udienza è proseguita con gli interventi della pubblica accusa, che ha brevemente delineato i capi di imputazione (diffamazione e stalking). È stata poi la volta della difesa di Berizzi che ha chiesto di costituirsi ovviamente come parte offesa, unitamente alla FNSI, sottolineando come i contenuti delle minacce giunti via social siano stati tali da modificare pesantemente le abitudini di vita del giornalista, già sotto scorta.
Ha preso in seguito parola la difesa dell’imputato M.A. che prima ha eccepito la qualificazione del reato – sollecitando una derubricazione da diffamazione e stalking a minacce – poi la competenza del tribunale (chiedendo che fosse Verona e non Bergamo la sede naturale del processo, luogo di residenza del proprio assistito, che non era presente in aula) e infine dichiarando il fatto che l’account Instagram da cui partivano i post offensivi non sarebbe stato riconducibili all’imputato.
A smentirlo peraltro sarebbero i risultati delle indagini svolte che avrebbero ricostruito in un tempo ridotto di tre mesi l’utilizzo a fini oltraggiosi di ben tre account gestiti da M.A.
Dopo essersi ritirato brevemente in camera di consiglio, il giudice ha prima accettato la costituzione di parte civile di Berizzi e della Fnsi, quindi ha rigettato tutte le richieste della difesa, confermando la competenza di Bergamo in quanto luogo di residenza della parte offesa e ha disposto la prima udienza per il prossimo 9 maggio 2024..
Avete letto bene, ancora quasi un anno per avviare un processo che si annuncia combattuto – a giudicare dall’attività odierna della difesa dell’imputato -, ancora un anno per sapere se le ripetute minacce, che si sono delineate tali da configurare lo stalking ai danni di Paolo Berizzi, potranno essere provate in aula e sanzionate giudiziariamente.
Si chiude così una settimana particolare, vissuta al crocevia di giustizia e informazione tra Trapani, Roma e Bergamo dovendo fare un’amara ma necessaria riflessione.
Ci vogliono pochi minuti per confezionare, al riparo di schermi anonimi e account farlocchi, pesanti insulti e minacce pericolose a persone che hanno scelto di fare dell’informazione il proprio lavoro, vivendo la propria professione innanzitutto come un servizio pubblico.
Bastano poi poche ore per imbastire querele temerarie che ti costringono, per difendere la libertà di informazione, a vivere anni con la spada di Damocle di un risarcimento danni che sai essere del tutto infondato perché le pretese avanzate sono infondate.
Minuti, ore per causare danni a persone fisiche e testate giornalistiche, per produrre strappi irreparabili al tessuto costituzionale e al vissuto civile. Al contrario ci vogliono anni perché sia ridata serenità e giustizia alle persone fatte oggetto di questi attacchi e perché il valore dell’articolo 21 venga tutelato giudiziariamente, chiamando “i leoni da tastiera” e “i querelanti temerari” a rispondere del loro operato.
C’è quindi una evidente sproporzione che soltanto una politica in grado di difendere il bene comune dovrebbe assumersi il compito di sanare, a tutela dei diritti di tutti e della collettività, proteggendo la libertà di informazione. In tempi più rapidi degli attuali, verrebbe da aggiungere.
Abbiamo però la evidente percezione della situazione attuale e sappiamo bene che non è questo il tempo propizio per un discorso del genere. Ecco perché dobbiamo armarci di una lucida e sana pazienza e ribattere colpo su colpo, udienza dopo udienza.
Ecco perché in agenda abbiamo già fissato la data del 9 maggio 2024, quando saremo nuovamente a Bergamo, in un’aula di tribunale, al fianco dell’amico e collega Paolo Berizzi.