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Stellantis trascura l’Italia. Meloni parla con Musk

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Curiosi primati. Grandi profitti di Stellantis e contemporaneo calo della produzione di auto. Il gruppo italo-franco-americano nel 2022 ha portato a casa un utile netto di 16,8 miliardi di euro (più 26 per cento sul 2021) ma le vendite di vetture sono calate a 5.839.000 da 6.579.000.

Una botta particolarmente forte l’hanno subita gli stabilimenti italiani: meno di 500.000 autovetture costruite l’anno scorso. È proseguito l’inabissamento produttivo delle fabbriche del Belpaese in corso da anni: Grugliasco è stata chiusa, è lontanissimo l’obiettivo di far marciare a pieno ritmo gli impianti con una capacità produttiva di 2 milioni di auto l’anno.

John Elkann esalta la “fusione paritaria” tra la Fiat Chrysler Automobiles e il gruppo francese Peugeot Citroen che ha dato vita a Stellantis: il nuovo colosso mondiale dell’auto è nato «con lo spirito coraggioso e visionario dei padri fondatori per cogliere le grandi opportunità del 21° secolo».  Il presidente di Stellantis si riferisce al trisnonno fondatore della Fiat a Torino, il senatore Giovanni Agnelli, quando parla di coraggio e di spirito industriale visionario. Tuttavia l’Italia finora non ha colto «le grandi opportunità del 21° secolo». Per il mancato arrivo di tutti i nuovi modelli e per gli scarsi investimenti l’occupazione va sempre più giù a colpi di esodi incentivati e di un massiccio ricorso alla cassa integrazione.

Anche in Francia le cose non vanno al meglio, però lì la produzione, precisa il ministro Urso, supera un milione di vetture, è più del doppio di quella italiana. Forse pesa un fatto: l’amministratore delegato di Stellantis Carlo Tavares lavora da Parigi e già da prima della fusione guidava la parte transalpina del gruppo. Forse pesa anche un altro dato: le azioni della famiglia Peugeot, sommate alle altre dello Stato francese, superano quelle in possesso della famiglia Agnelli-Elkann. La Francia, pensano in molti, ha un ruolo dominante nelle scelte della multinazionale. Luca di Montezemolo, ex presidente della Fiat, non ha avuto peli sulla lingua: l’azienda è stata venduta ai francesi, ha sostenuto.

I sindacati italiani da tempo sono in allarme per la caduta della produzione e dell’occupazione mentre spariscono i modelli con motore a combustine (a benzina e diesel) e arrivano con il contagocce quelli nuovi a trazione elettrica o ibrida. Lo stesso governo Meloni è in allarme. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha sollecitato più volte Stellantis a mantenere gli impegni per far crescere la produzione e l’occupazione negli stabilimenti della Penisola. L’esecutivo italiano ha garantito massicci incentivi pubblici per la conversione elettrica, per l’acquisto delle auto meno inquinanti, per salvaguardare l’occupazione con la cassa integrazione.

Il governo Meloni sembra aver perso la pazienza con John Elkann al quale rimprovererebbe di essere distratto verso la sorte delle fabbriche italiane. Giorgia Meloni e Antonio Tajani hanno ricevuto Elon Musk sollecitando il proprietario della Tesla ad investire in Italia, costruendo un impianto di auto elettriche. Non solo. Palazzo Chigi starebbe accarezzando l’idea di far diventare lo Stato italiano azionista di rilievo di Stellantis, come è la Francia.

I giornali esaltano un primato italiano: il marchio Fiat ha battuto tutte le altre case del gruppo vendendo 1,2 milioni di auto nel 2022 in tutto il mondo, assicurando grandi profitti di Stellantis (Peugeot è relegata al secondo posto). Ma dagli articoli non emerge un dato: gran parte della auto Fiat vendute sono costruite in Brasile, Polonia, Serbia, Turchia e non in Italia. La Topolino, la nuova mini utilitaria elettrica, sarà allestita in Algeria. Alcuni futuri modelli dell’Alfa Romeo potrebbero essere prodotti in Polonia, altri della Lancia in Spagna.

I profitti di Stellantis vanno bene ma gli impianti italiani no. Qualcosa non funziona. Sergio Marchionne pensava di assicurare la piena occupazione nelle fabbriche italiane puntando sui cosiddetti marchi premium: Alfa Romeo, Maserati, Lancia e Jeep. Voleva la produzione in Italia per garantire alta qualità e lavoro. Forse qualcosa è cambiato.


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