Era il 29 luglio 1981 quando Enrico Berlinguer, a pochi mesi dalla scoperta degli elenchi della P2, rilasciò una memorabile intervista a Eugenio Scalfari, nella quale affermava sconsolato: “I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela; scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società, della gente; idee, ideali, programmi pochi o vaghi; sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”. E ancora: “I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali”. Infine: “Tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura dei vantaggi e rapporti di clientela; un’autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un’attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti”.
È l’intervista sulla questione morale: un grido d’allarme inascoltato e deriso, persino all’interno dello stesso PCI, ahinoi profetico alla luce di ciò che sarebbe accaduto nel decennio successivo. Potrebbe essere pubblicata domattina su qualsiasi quotidiano e pochi, senza una spiegazione preventiva, si accorgerebbero che si tratta di parole pronunciate quarantadue anni fa. Basta questo per comprendere il degrado in cui versa il nostro Paese.
Stanno avvenendo, in queste settimane, fatti apparentemente secondari ma in realtà essenziali per comprendere il contesto in cui viviamo e quello in cui ci troveremo a vivere nei prossimi anni. Prendiamo un giornale a caso: “Libero”, diretto da Alessandro Sallusti. Tre articoli balzano agli occhi sull’edizione odierna. Il primo lo firma in apertura Pietro Senaldi, sotto il titolo “Salvini sperona la Rackete” (che è già tutto un programma). Scrive il nostro: “Il dato politico è duplice. Da una parte, il Parlamento ha cambiato idea sul tema perché a questo giro ha meno zecche o amici delle zecche rispetto alle tornate precedenti. Dall’altra parte c’è Renzi, che si è ricreduto rispetto al 2020, pieno governo giallorosso, quando spedì il capitano leghista alla sbarra come gesto simbolico di bocciatura di tutta la politica migratoria dei gialloverdi, almeno così disse. Prove di allargamento della maggioranza? Segnali ai naviganti?”. E ancora: “Le zecche alla Rackete si rassegnino. Come i maiali di Orwell, qualcuna è più zecca delle altre e lei lo è solo di Serie B. Un’utile idiota, si sarebbe detto in altri tempi”. Non entriamo nel merito dell’astensione di Italia Viva: non ci interessa il futuro personale e politico di Renzi e non è questo il punto. Il punto è capire, al di là dell’aspetto legale e giudiziario, se un ministro possa definire una donna “zecca tedesca, complice di scafisti e trafficanti”, “sbruffoncella che fa politica sulla pelle di qualche decina di migranti” e “ricca tedesca fuorilegge”. Nell’Italia contemporanea, al di là dell’aspetto penale, che ribadiamo non è affar nostro, evidentemente sì. E vale anche per la nostra categoria che da tempo non ha più il coraggio di mettere ai margini chi, scrivendo cose di questo genere, vuole ancora fregiarsi della definizione di giornalista.
A pagina 10, invece, campeggiano due notizie che si tengono l’una con l’altra. Giovanni Sallusti si scaglia contro uno studente, Gabriele Lodetti del liceo scientifico “Plinio Seniore” di Roma, reo di aver rivendicato l’utilizzo della schwa nel tema di Maturità. Sallusti ne chiede addirittura la bocciatura, quando al contrario Gabriele ha conseguito un meritorio 17 su 20 alla prova e pare davvero un ragazzo sveglio, contemporaneo e con le idee chiare sulla direzione che dovrebbe prendere la società per essere migliore. Ora, ci domandiamo ingenuamente: può un giornalista chiedere la bocciatura di un ragazzo? Se un ministro ha inviato gli ispettori in una scuola per far cambiare il voto di condotta attribuito a due alunni dal consiglio di classe all’unanimità, la risposta è sì. Ma anche questo è un segnale tangibile della deriva in atto. E infatti si reintroduce il valore del voto di condotta sulla media generale fino alle superiori, come accadeva prima della riforma del 1969. Nell’articolo in basso, a firma Claudia Osmetti, si prendono invece di mira i soliti banchi a rotelle, con una difesa a spada tratta della dirigente scolastica veneziana che li aveva buttati e alla quale la Corte dei Conti ha contestato un danno erariale di oltre trentottomila euro per vari motivi, uno dei quali relativo all’innovazione introdotta dall’allora ministra Azzolina. E qui, scusate, ma dobbiamo esser franchi. Perché se pensate che queste due notizie siano scisse l’una dall’altra, beh, vi sbagliate di grosso. A questa destra dei banchi a rotelle, che peraltro esistono in Italia da oltre dieci anni e che Azzolina ebbe solo il merito di valorizzare e offrire come possibile alternativa ai dirigenti scolastici alle prese con il metro di distanziamento legato all’emergenza Covid, senza costringere nessuno ad adottarli, a questa destra, dicevamo, di quei banchi non importa nulla. Né gliene importa nulla della preside che li ha buttati, di quella di Rovigo, dello studente che utilizza la schwa o di quelli che hanno sparato i pallini contro la professoressa e compiuto un percorso di riabilitazione. Della scuola e del suo valore costituzionale questa destra non se n’è mai occupata e mai se ne occuperà. Il principio che si vuole far passare, in tutti i modi, è piuttosto quello di un potere pervasivo, che controlla ogni ambito della società e vuole decidere qualunque cosa: dal voto in condotta degli allievi di un istituto tecnico ai palinsesti del servizio pubblico, come stiamo tristemente vedendo in queste ore di apprensione per le sorti di una RAI che, stando a ciò che sostengono i maligni, spesso ben informati, dovrebbe diventare una vetrina promozionale del made in Italy, senza che possa alzarsi anche solo una voce critica che stecchi nel coro del conformismo. Del resto, questa è la differenza fra la televisione di Stato e quella di governo di cui parlava Enzo Biagi e che il grande giornalista, maestro di tutte e tutti noi, ventuno anni fa decise di porre in evidenza, non accettando di avere un editore diverso dal suo affezionatissimo pubblico.
Quanto a Lucia Azzolina, se ancora si parla dei suoi banchi, non è per la trovata in sé, a nostro giudizio assolutamente positiva. È che nell’Italia contemporanea non si accetta che possa diventare ministra la figlia di un agente penitenziario e di una casalinga, una donna senza filiere di potere alle spalle, una che ingenuamente voleva porre lo studente al centro e si preoccupava della salute di ragazze e ragazzi, del loro diritto allo studio, del loro benessere psicologico e della possibilità per tutti di avere almeno un pasto caldo al giorno e i libri per studiare. Se Azzolina ha subito, e continua a subire, questa derisione, talvolta corredata sui social da insulti degni della caserma di Bolzaneto, non è perché è donna ma perché ha osato sfidare un establishment che in parte non l’ha capita e in parte l’ha capita fin troppo bene.
“La questione morale – spiegava sempre Berlinguer – non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché gli altri partiti possono provare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. Ma poi, quel che deve interessare veramente è la sorte del Paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi: rischia di soffocare in una palude”.
Se la sinistra non riparte da qui, se non riafferma con vigore l’idea per cui nessuna ragazza può essere definita “zecca”, meno che mai da un ministro, non se ne esce. Allo stesso modo, se non ricorda ogni giorno l’esempio tragico di Lena Zühlke, anche lei ragazza tedesca, disintegrata al quarto piano della Diaz da un nugolo di agenti di Polizia che ha disonorato la divisa che indossa anche perché ritenuta, sostanzialmente, una “zecca”, se non chiede scusa a Lucia Azzolina e agli studenti e alle studentesse che lei continua a difendere e che ogni giorno vengono attaccati per frenarne la passione e lo slancio ideale e se non capisce che la RAI non è solo lo specchio del Paese ma il prologo di un presidenzialismo di fatto senza contrappesi, rischiamo di perdere tutto senza neanche aver lottato.
Sarebbe bello se fosse un ragazzo o una ragazza di vent’anni a venirci a gridare la domanda che ci pose, disperato, il Berlinguer di allora: “Ma non è venuto il momento di cambiare e di costruire una società che non sia un immondezzaio?”.