Dietro le giaculatorie pagane inneggianti a Silvio Berlusconi, che tutto è stato salvo che un santo, succede qualcosa che non corrisponde alla messa in scena dominante.
La serata di lunedì scorso è stata praticamente occupata dalla cerimonia mediatica di ricordo del patron di Arcore. Già nel cosiddetto day time era successo, con piaggerie incresciose e un chiaro tentativo di riscrivere la storia italiana.
Una prova generale, questo è successo, di quel cambio di narrazione in cui i vincitori di oggi modellano l’immaginario e la memoria a proprio uso e consumo.
Però, talvolta le ciambelle non vengono con il buco.
Infatti, lo speciale di Porta a Porta condotto dall’inarrivabile «intellettuale organico» Bruno Vespa ha racimolato un non grandioso 10,5% di share. Lo strano clima di disinteresse si è appalesato sulle reti del defunto proprietario. Canale5 ha raccolto l’8,3% dello share, mentre il simulcast su Italia1 non superava il 2,3% e su Rete4 il 3,5%. L’omologo approfondimento su La7 si assestava sul 5,8%.
Insomma, la risposta del pubblico, a partire da quello dei canali di Mediaset, si è rivelata alquanto bassa. Da qui a trarne riflessioni generali ce ne corre. Si tratta di sintomi di qualcosa. In particolare, sembra inverarsi uno degli effetti della stessa logica dell’istantaneità che ha pervaso la televisione generalista in concorrenza con i social: un evento si consuma in poche ore e la tenuta della medesima rappresentazione – pur così conclamata- è breve.
A fronte di tale scenario, che induce ad approfondire le dinamiche della cultura di massa, vi è -poi- il panorama cinico e spietato della Borsa. Dopo l’annuncio della scomparsa di Berlusconi le quotazioni del gruppo (Mfe, l’holding di famiglia) sono salite. Come mai? Non è difficile immaginarlo.
Mentre lo storico imprenditore dell’etere non voleva cedere i suoi gioelli, ora si suppone che si possa inaugurare una stagione di affari e acquisizioni. Uccelli rapaci volteggiano su una salma, rispettata nell’agiografia ufficiale, ma oggetto di inconfessabili desideri.
Eppure, andrebbe ricordata la massima, il corpo del defunto -amico o nemico che sia- è sacro.
Tuttavia, proprio quel mercato invocato come toccasana comincia a farsi sentire.
Un dato, comunque, va sottolineato, a prescindere dai prossimi accadimenti.
Sia la Rai sia Mediaset senza Berlusconi non saranno più le stesse. Sugli studi di Cologno Monzese peserà l’assenza del capo rabdomante e interprete della parabola commerciale della televisione generalista. Uno dei motivi della resistenza tenace ed assidua ad ogni decente regolazione del conflitto di interessi stava proprio qui: un distacco vero del fondatore dalle propriecreature mediali avrebbe progressivamente snaturato l’essenza politica e comunicativa. Il fenomeno riguarda, per converso, anche Forza Italia. Ma la televisione è maggiormente soggetta al barometro dei mutamenti del capitale.
Pure la Rai rischia, paradossalmente, di traballare. Il servizio pubblico accettò di essere l’altra faccia del duopolio, assimilando stili e comportamenti del concorrente privato. Raiset fu denominato l’intreccio delle reciproche convenienze.
L’impalcatura durata per quasi quarant’anni rischia ora di franare. La destra alla carica nelle stanze della Rai toglie a quest’ultima, lo spirito consolidato, interpretato da ciò che i critici chiamavano «partito-azienda». Un’azienda pubblica segnata dall’arrembaggio lottizzatorio in camicia scura e l’impresa dirimpettaia senza il lievito del vecchio Capo diventano un bonsai diun duopolio alquanto sgualcito.
La scomparsa di Berlusconi potrebbe, dunque, mettere in discussione la geografia del sistema da lui stesso disegnata. E le stelle non stanno a guardare.
PS. Nell’audizione tenutasi giovedì 8 giugno presso la commissione parlamentare di vigilanza i vertici della Rai (la presidente Marinella Soldi, l’amministratore delegato Roberto Sergio e il direttore generale Giampaolo Rossi) hanno esibito quella che in gergo si chiama pubblicità ingannevole. Tra l’azienda vagheggiata e quella che si vede non c’è alcun rapporto.