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Roma Pride, la risposta migliore alla negazione dei diritti Lgbtq+: diritti umani non privilegi

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Quello celebrato ieri è stato il Roma Pride più partecipato di sempre. Nella capitale si è ritrovata una comunità bellissima, entusiasta, inclusiva. Una comunità che più attaccano e più diventa forte, consapevole che i diritti LGBTQ+ sono  diritti umani.
Perché se i diritti non sono per tutti diventano privilegi e come affermava Desmond Tutu «L’omofobia è una forma di apartheid. Com’è possibile lottare contro il razzismo e non contro l’omofobia?».
Ebbene, oggi ci troviamo di fronte a un momento storico – politico che palesemente non  intende affrontare né l’una né l’altra questione.
Anzi continuerà a mancare di rispetto a chi si batte per quei diritti e mostra il proprio orgoglio di appartenere a una comunità che rivendica l’uguaglianza e la dignità di tutti.
Essere loro accanto è una scelta naturale per chi ha a cuore la democrazia e la solidarietà. Ma evidentemente queste non sono priorità per l’attuale governo che, per dirla alla Beppe Giulietti, coordinatore dei circoli di Articolo 21, attraverso i Tg di cui ha  ormai pieno controllo ha dedicato al Roma Pride “un centesimo del tempo riservato al pellegrinaggio a Manduria”.
Insomma, quando il cambio di narrazione coincide con l’oscuramento.
Ma l’intento di silenziare una grande manifestazione colorata e pacifica che aveva lo scopo di dichiarare: “noi non abbiamo paura” non è riuscito. È stata una affermazione corale e risoluta, dimostrando che per dichiararsi gay non bisogna essere per forza eccentrici.
Ieri a Roma centinaia di “famiglie arcobaleno” hanno dimostrato che la  civiltà e la rivoluzione di un Paese possano affermarsi soprattutto se diventa “normale” essere omosessuali.
E dunque, non c’è modo migliore per chiudere questa riflessione che riportare il pensiero e l’esperienza a me affidato da una cara amica, Marina, che ha deciso dopo anni di “autocensura” di rivendicare orgogliosamente la sua sessualità: «Essere gay è ancora una lotta. Combatti una guerra per metà culturale e  metà morale ma prima di tutto contro te stesso, arrivando a odiare quello che si è piuttosto che coloro che ci odiano senza una buona ragione. Riuscire a far “funzionare” l’essere gay è per me passato col seguire l’esempio di persone che mi hanno accettata per quello che sono. Devo a loro la mia felicità come donna gay. Ha richiesto molto, molto tempo. Ma la loro fiducia è diventata la mia e mi sono innamorata dell’essere gay».


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