Sta per essere approvata la legge di conversione del “decreto Pa”, nel quale il Governo ha inserito, con un emendamento notturno e un voto di fiducia, due interventi sui poteri della Corte dei conti.
La polemica si è prevedibilmente concentrata sull’esclusione del Pnrr dal controllo concomitante della Corte, lasciando in secondo piano la proroga di un anno dello scudo erariale che, dal 2020, ha sostanzialmente cancellato la responsabilità per danno all’Erario.
Se la vicenda è nota, come lo è la contrarietà della magistratura contabile, è mancato un semplice fact checking di taluni degli argomenti proposti a sostegno dell’intervento governativo.
Fra questi, meritano di essere menzionati gli interventi di Sabino Cassese, insigne amministrativista ed ex giudice costituzionale (la disattenzione dei giornalisti ha visto attribuirgli le qualifiche di costituzionalista ed ex presidente della Consulta).
L’autorevolezza del personaggio ha permesso che venissero accolte senza batter ciglio anche affermazioni gravi, come quelle rese nel corso del programma televisivo L’Aria che tira, in cui Cassese ha dichiarato che la Corte dei conti sarebbe composta da sole 400 persone, pertanto non in grado di effettuare controlli a tappeto e approfonditi, e che la difesa delle attribuzioni della magistratura contabile sarebbe spiegabile come una questione di poltrone[1].
Va chiarito, innanzitutto, che il controllo concomitante è solo una delle forme di controllo che la Corte dei conti esercita sul Pnrr e l’unica ad essere stata abolita. (Proprio per questo è legittimo chiedersi perché).
Accanto ad esso viene svolto, a livello centrale e periferico, il controllo preventivo di legittimità sugli atti delle Amministrazioni statali, sulla base delle regole ordinarie, e il controllo sulla gestione, con referti semestrali alle Camere. Il controllo concomitante non è neppure l’unica forma di controllo in itinere, perché la legge n. 20/1994 consente alla Corte di svolgere il controllo di efficienza, efficacia, economicità anche in corso di gestione.
Il Governo non ha quindi escluso la Corte dai controlli sul Pnrr: ha invece esentato il Piano dalla forma più recente e avanzata di controllo sulla gestione, quella introdotta dalla legge Brunetta del 2009. Lo ha fatto a distanza di pochi giorni dalla pubblicazione di due delibere (nn. 17 e 18/2023/CCC) che avevano accertato gravi irregolarità e ritardi nell’attuazione di specifici progetti. La stampa ha riportato con dovizia di particolari l’irritazione del ministro Fitto e di altri esponenti del governo a fronte di quelle specifiche pronunce, accusate di paralizzare l’azione amministrativa instillando nei dirigenti la “paura della firma”.
Il controllo concomitante non è, contrariamente a quanto alcuni affermano, un controllo preventivo – che pure viene esercitato quotidianamente, senza particolare clamore – e non è, soprattutto, un controllo a tappeto, essendo limitato ai progetti più significativi: sarebbe, del resto, evidentemente impossibile controllare tutti gli oltre 100.000 (centomila) progetti finanziati dal Piano.
Non è neppure un controllo più approfondito di quello tradizionale sulla gestione, di cui costituisce una variante. Ha invece una finalità diversa: quella di individuare tempestivamente le irregolarità e i ritardi che potrebbero compromettere la realizzazione dei progetti nei tempi previsti, comportando l’obbligo di restituire i finanziamenti europei.
Circa le preoccupazioni degli amministratori, va precisato che il controllo concomitante non consente alla Corte di sanzionare in alcun modo le irregolarità e i ritardi eventualmente accertati. La legge prevede una semplice segnalazione all’Amministrazione competente, alla quale spetta di valutare l’eventuale responsabilità dei dirigenti coinvolti.
Quanto alla responsabilità per danno all’Erario, dall’entrata in vigore del d.l. n. 76/2020, emanato dal Governo Conte II nella prima fase della pandemia, essa è stata significativamente limitata. Da allora e fino al 30 giugno 2024 – per effetto dell’ultima proroga – le Procure contabili potranno contestare solo le omissioni gravemente colpose. Se il danno è derivato da un atto, o da una condotta attiva, è infatti necessaria la prova del dolo, cioè della “volontà dell’evento dannoso” (art. 21 d.l. n. 76/2020).
A ben vedere, non è difficile spiegare l’intervento governativo.
Alcune pronunce non gradite, sul tema sensibile dei ritardi nella realizzazione del Piano, hanno suscitato una reazione inconsulta, da ascrivere alla pretesa di un “approccio costruttivo da parte di tutti”, pubblicamente invocato dal ministro Fitto (Il Sole24Ore, 27 maggio). A dimostrarlo è anche il fatto che una proposta parlamentare di proroga dello scudo erariale, nel mese di marzo, era naufragata per il mancato appoggio del Governo. Cos’è cambiato, da allora, nelle valutazioni dell’esecutivo?
Mai come in questo caso la polemica politica ha mascherato un dibattito approssimativo.
Il tempo – il poco tempo rimasto, se si considera che la realizzazione del Pnrr dovrebbe essere completata nel 2026 – si incaricherà di dimostrare se avevano ragione i controllori o i controllati e i loro alfieri.
[1] L’intervento del prof. Cassese è reperibile online: https://youtu.be/7tCO1zv-Jrc. Per la cronaca, la Corte dei conti è attualmente composta da circa 500 magistrati e 2000 tra funzionari e altro personale amministrativo. La pianta organica prevede 636 magistrati, 69 dirigenti e 2.594 tra funzionari e impiegati. Il controllo concomitante non è stato affidato a una nuova Sezione, ma ad uno speciale collegio costituito all’interno di una Sezione già esistente.
Andrea Carapellucci, è un magistrato contabile