Ci sono memorie insopportabili che alla sola idea di riproporsi ci riempiono di una sottile, insinuante inquietudine, gettandoci in uno stato di allarme diffuso, persistente. E’ così che con questo sconcertante romanzo entriamo nei recessi del nostro presente storico che assume e rivive l’ombra del fascismo, corrodendo la speranza di un futuro illuminato; un’ombra che si espande minacciosa dalle pagine di una prosa scabra ed elegante, sinuosa come le spire di un serpente, soggiogante, avvolgente, trascinandoci inesorabilmente in una spirale dai contorni sbavati, incandescenti, fino al rovinoso epilogo. Metafora angosciante, la storia “d’amore” di Silvia e Marcello si dipana su una sorta di partitura frantumata in dissonanze a più voci, buco nero da cui intravediamo balenare una minacciosa presenza che si affaccia sulla nostra bella Italia dormiente e imbelle, ricordandoci che tutto questo è possibile. E’ già accaduto. Potrebbe accadere ancora. Dall’ultima opera di questo giovane talento tracima un terribile monito, traghettato da un raffinato esercizio di immaginazione e di bello stile.
I protagonisti della vicenda, ambientata in una Roma dei nostri giorni, sono tre uomini e una donna: il narratore- scrittore, lo psicanalista che lo ha in cura, il giovane amante neofascista della moglie dello psicanalista; la moglie, chiamata Silvia, non più giovane, ma ancora molto bella.
Il lussuoso salotto dello psicanalista, il dottor P***, è l’elegante ambiente in cui ha inizio il romanzo. Rovesciando i ruoli, il terapeuta confida al suo paziente che la moglie Silvia, soggiogata dal suo fascino perverso, intrattiene una pericolosa relazione con un ragazzo dall’oscuro profilo, spingendo il suo anomalo confidente su una scia investigativa che si intreccia tortuosamente con la vita segreta dei componenti del “Continente bianco”, appellativo di un movimento di estrema destra a capo del quale è il seducente Marcello Croce, con cui appunto la di lui moglie intrattiene rapporti carnali, di cui ella non fa mistero. Così, a sua volta sedotto dal giovane Marcello, “bello come Cristo” e malvagio come Satana che può “fare il male e pensare a qualcosa che si ama, alla bellezza persino”, lo scrittore entra a far parte del movimento, nella doppia veste di cronista e protagonista delle violente imprese guerresche del gruppo di cui è entrato a far parte. L’incombente pericolosità di questo duplice rapporto, sospesa come una mannaia su una fitta rete di squarci di crudeltà nei confronti di varie etnie, inflitte senza una ragione, a mo’ di esercitazione, dal gruppo “in guerra” come amano definirsi, culminerà in un parossistico finale dove la morte accoglie inesorabilmente la protagonista; una morte annunciata fin dalle prime pagine, che aleggia sul susseguirsi dei fatti narrati dallo scrittore, attirato e introdotto nel gruppo affinché racconti la loro storia e dal canto suo per una curiosità intellettuale e umana insopprimibile. Lo scrittore, nella doppia veste di narratore e protagonista, quindi contemporaneamente persona reale e personaggio, in un fitto, destabilizzante intrecciarsi di racconto immaginato e azione, si troverà a scandagliare il percorso di violenza e di prevaricazione dei neofascisti, entrando nell’intimità della loro sede, dei loro progetti e azioni a cui viene invitato a partecipare, inconcepibili per una mentalità borghese che tuttavia, come Silvia e lo scrittore, è soggiogata inspiegabilmente, fino alla caduta della donna e allo smarrimento del narratore. Historia docet. La carrellata di squallidi personaggi del gruppo che ruotano intorno ai protagonisti ripropone, nell’attenta descrizione di una Roma scarnificata dalla sua maestosa bellezza, un’atmosfera malsana di degrado incombente, devastante nei suoi effetti, da cui ci si vorrebbe ritrarre inorriditi, su cui si innalza, vessillo di ruina, la fascinazione di cui sono vittime la donna e lo scrittore. Il fascino della giovinezza, della bellezza, dell’agiatezza, si inseguono e si contrappongono alla vecchiaia incombente, alla bruttura, alla miseria, in un conflitto aperto e insanabile.
Ispirandosi a un romanzo di Goffredo Parise “L’odore del sangue” scritto negli anni Settanta, Tarabbia sposta la storia ai nostri giorni, infarcendola di citazioni e riscritture di passi di opere del passato, tra cui i Vangeli, Melville, Pratolini, Lombroso, in un esercizio di riscrittura della memoria che diviene un grido di allarme al pericolo incombente di un’Italia che potrebbe rimanere ancora una volta vittima di un Potere ottuso e violento, funesto per la libertà e la dignità del cittadino e dell’uomo.
E’ proprio l’odore del sangue a impastare magistralmente la scrittura di questo giovane talento, raffinato indagatore del Male, che in quest’opera, dopo il successo di “Madrigale senza suono”, premio Campiello 2019, ci conduce nella dimensione onirica dell’incubo del fascismo che ritorna, per insinuarsi nel tessuto malato di una società in maggioranza inconsapevole, facilmente condizionabile, vuota di contenuti, pericolosamente immersa in facili giochi seduttivi, malamente controllata da una esigua controparte superficiale, disunita e poco attrezzata. La suspense dei contenuti unita a uno stile asciutto e incisivo sconvolgono ma catturano il lettore pur inorridito, invitandolo a guardare nell’abisso, con lo stesso potere seduttivo esercitato dai movimenti neofascisti, fanatici al punto da essere capaci di appendere nella loro sede la foto dell’esecuzione a piazzale Loreto ridicolmente capovolta, per mostrare i corpi appesi di Mussolini, della Petacci e dei tre gerarchi fascisti in atteggiamento di esultanza, come sbalorditi si legge in questo cupo e illuminante romanzo.
ANDREA TARABBIA
IL CONTINENTE BIANCO
Bollati Boringhieri editore
€ 16.00