La nuova stretta sulle intercettazioni ci preoccupa, anche perché arriva dopo che è stato possibile prendere atto con evidenza dei danni provocati in questi mesi dall’applicazione del decreto sulla presunzione di innocenza che ha fortemente limitato l’informazione sulla cronaca nera e sulla cronaca giudiziaria. Questa nuova stretta sembra ignorare il fatto che con il decreto legislativo 216 del 2017 e successive modificazioni la disciplina è già particolarmente restrittiva e limita fortemente la possibilità di pubblicazione delle intercettazioni; il dl cerca infatti di garantire un equilibrio tra il diritto del cittadino ad essere informato e la necessità di assicurare la riservatezza e la tutela della dignità delle persone sottoposte ad indagini penali. Nessuna violazione delle norme in materia di pubblicazione delle intercettazioni è stata peraltro registrata dall’entrata in vigore del dl 216, come è stato confermato anche nell’audizione alla Commissione Giustizia della Camera dal consulente giuridico della ministra Cartabia. Certo, i giornalisti condividono la legittima esigenza di tutelare i soggetti estranei alle indagini i cui nomi possono figurare nelle intercettazioni. Tale rispetto è un obbligo etico per i giornalisti, prima ancora che un dovere deontologico e va posta la massima cautela quando, nei documenti giudiziari, compaiono nominativi estranei ai fatti, a maggior ragione se vengono citati episodi riguardante la sfera strettamente privata dei cittadini.
Nella bozza di disegno di legge portato all’esame del pre-Consiglio dei ministri, i limiti che si vogliono introdurre alla conoscibilità delle intercettazioni effettuate durante le indagini preliminari rischiano di costituire un ostacolo al diritto dei cittadini di essere informati su eventi di rilevante interesse pubblico. Attualmente gli atti a conoscenza degli indagati (quindi dopo l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare o dopo la chiusura delle indagini) non sono più segreti. Con le nuove proposte c’è il rischio concreto di far calare il silenzio su quasi tutto, con l’eccezione delle intercettazioni “riprodotte dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento”. Il diritto all’informazione è tanto più rilevante quando riguarda fatti di interesse pubblico, quali sono tutte le indagini penali che si avvalgono di intercettazioni, oggi concesse soltanto nei casi dei reati più gravi. E lo è ancora di più quando tali indagini riguardano personaggi pubblici rispetto ai quali le norme sulla privacy hanno una modalità di applicazione più “leggera”, soprattutto da parte dei giornalisti, proprio in virtù del diritto di cronaca. Tra l’altro sono numerose le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo che considerano lecita anche la pubblicazione di atti coperti da segreto su inchieste di rilievo che riguardano personaggi pubblici. In conclusione, due osservazioni. La prima. Se queste proposte fossero oggi già legge non avremmo potuto leggere le intercettazioni riguardanti i brutali pestaggi effettuati da alcuni poliziotti a Verona. È giusto?
La seconda: in futuro dovremo leggere la stampa internazionale per conoscere cosa accade nel nostro Paese? Visto che ciò che è vietato in Italia è consentito all’estero, come sancito dalla costante giurisprudenza delle Cedu.