Edgar Morin è un uomo di oltre cent’anni. Straordinario pensatore, filosofo, sociologo, studioso della complessità, nella sua lunga vita di “francese cittadino del mondo” ha seguito con gli “occhi e la mente” una infinità di conflitti. Negli anni 40 ha aderito alla Resistenza contro gli occupanti nazisti, ma qualche tempo dopo ha visto gli ideali di umanità e giustizia calpestati dalla sua stessa Francia nelle guerre coloniali, soprattutto in Algeria. Un grande testimone insomma delle contraddizioni e delle violenze della storia umana.
Un eccezionale spessore che si riflette nella sua ultima opera titolata significativamente “Di Guerra in Guerra”, un libro breve, agile, ma utilissimo. Ci dice che non si può valutare seriamente un singolo evento bellico senza inquadrarlo in un contesto storico e geografico, senza tener conto di quelli che lo hanno preceduto e di quelli che si svolgono in contemporanea nel mondo. E quante sono oggi le guerre in corso sul pianeta? Se ne stimano oltre 50 di cui almeno 20 a alta intensità. Si combatte violentemente in Africa, Asia, Medio Oriente. Ed è soprattutto per questo che nel resto del globo la percezione del conflitto Russo Ucraino è così diversa rispetto a come la si vive in Europa. Per noi è l’unica guerra che conta, per loro è una fra le tante, loro hanno altre priorità, non hanno dimenticato le conseguenze di altri precedenti interventi militari.
Edgar Morin non ha nessuna esitazione a definire criminale l’aggressione di Putin contro la sovranità dell’Ucraina ma invita a non cedere alla “isteria di guerra”, alla “propaganda unilaterale spesso menzognera”, critica i media francesi ( ma vale lo stesso discorso per gli italiani) che danno le notizie avvalendosi di una unica fonte e togliendo ogni contestualizzazione al conflitto in corso. Non c’è un unico imperialismo oggi nel mondo, spiega. Aggiunge anche che ogni guerra comporta prima la progettazione e poi la produzione e l’uso di armi sempre più micidiali, una “dialettica infernale”. E’ sorprendente, precisa, che in una “congiuntura così pericolosa si levino così poche voci in favore della pace nelle nazioni più esposte”. Da parte dei più bellicisti “parlare di cessate il fuoco, di negoziati viene presentato come una ignominiosa capitolazione”. Costoro patrocinano e fomentano una guerra che però “vogliono a tutti i costi evitare a casa loro”. In queste parole c’è la denuncia della evidente ipocrisia di molti bellicisti. Giocano a fare gli eroi con la pelle degli altri, perché in prima linea i corpi e il sangue sono di Russi e Ucraini, quasi sempre povera gente. Addirittura detenuti nel caso della compagnia privata russa Wagner chi li ha reclutati, con l’avallo del regime, con la promessa di una libertà il cui prezzo è però la concreta possibilità di rimetterci la vita.
Ma è l’ultima considerazione di Morin la più drammatica. A chi dice che bisogna combattere fino alla fine replica con una domanda spiazzante: Dov’è la fine di cui parlate? Lui che di conflitti ne ha vissuti veramente tanti conclude il libro con un appello che riassume il tutto: “Evitiamo una guerra mondiale. Sarebbe peggio della precedente”.
Qui il pensiero va a quella che al tempo della Guerra Fredda veniva chiamata la “linea rossa” da non superare mai. Può essere distrutto un nemico che possiede un formidabile arsenale nucleare? Dobbiamo farci guidare dal nostro giudizio morale sul despota che avversiamo o deve prevalere la consapevolezza del rischio di un apocalisse planetaria? Capire che la “guerra senza limiti” è appunto una trappola infernale? Fra i tanti paradossi d tempo che stiamo attraversando c’è quello che i generali risultino più consapevoli dei leader politici sulle incognite di uno scontro diretto Nato Russia. Fra le autorità civili è sostanzialmente prevalsa la rimozione del problema. Questo atteggiamento ha influenzato e coinvolto pure i media europei. Da noi chiunque porti all’attenzione l’attuale crisi umanitaria in Ucraina e indichi la necessità di aprire spazi a una trattativa viene definito “pacifinto”, è irriso, sbeffeggiato. In Italia si è creata una frattura netta fra il modo in cui sono stati presentati gli eventi bellici e il punto di vista della cittadinanza. Lo attestano tutti i sondaggi. In particolare quello dell’Ipsos del marzo 2023 ha certificato che su 100 italiani solo 27 sono soddisfatti dell’informazione ricevuta, la ritengono “neutrale e obiettiva”. Il giudizio su Putin è durissimo, ma la maggioranza ( 48 contro 33) è contraria all’invio di armi, alla partecipazione attiva al conflitto.
Questo sentimento popolare non ha trovato sui media nei fatti alcuno spazio. Nel contempo va rimarcato ( le contraddizioni vanno sempre colte) piuttosto che “la propaganda bellicista” della maggioranza degli opinionisti pare aver prodotto l’effetto opposto a quello voluto.
Ma i motivi di insoddisfazione sul comportamento dei media si estendono pure a altre questioni. Viviamo nell’era “dell’informazione totale”, della circolazione istantanea di notizie e commenti, eppure non sappiamo nulla su aspetti essenziali di questo conflitto. Partiamo da una questione fondamentale: quante persone hanno perso la vita finora?
Sui civili il dato aggiornato al 4 giugno dalle Nazioni Unite parlava di 8983 morti cui vanno aggiunti 15442 feriti, ma la stessa fonte precisava che si tratta di cifre che vanno prese con prudenza perché in realtà potrebbero essere ben più alte. Per quanto riguarda i militari caduti invece non sappiamo sostanzialmente niente. Le leggi della propaganda sono ferree: ciascuno dei belligeranti parla solo delle perdite che si vanta di aver inflitto al nemico. Così in Italia abbiamo una visione totalmente distorta. Ci è stato detto ad esempio che la battaglia di Bakhmut è stata un “implacabile tritacarne” ma tutti i numeri di dieci mesi di scontri violentissimi sono avvolti dalla “nebbia di guerra”. Per questa ragione, allargando lo sguardo al quadro complessivo del conflitto, l’unico riferimento sono le notizie fornite dai media Usa basate su dati (approssimativi) dei servizi di informazione statunitensi. A metà marzo 2023 la agenzia Reuters ha così parlato di 354mila vittime fra morti e feriti sommando le perdite di entrambe le parti in lotta. Senza ombra di dubbio una orribile strage di giovani vite che ricorda da vicino lo sterminio di massa dei due conflitti mondiali del novecento. Affrontare questo tema però ci è precluso dal “manicheismo propagandistico” perché rende tangibile e misurabile la vertiginosa disumanità di quanto sta avvenendo.
Ma la logica della rimozione divora ogni argomento che potrebbe favorire lo sviluppo di un punto di vista critico. Prendiamo i risvolti economici degli eventi, gli interessi in gioco. Chi sta guadagnando dal conflitto in corso? I profitti di guerra a chi vanno? Partiamo dai produttori di gas e petrolio. Basandosi sui dati del 2022 Greenpeace non ha alcun dubbio: fra i grandi vincitori ci sono le “Big Five” del combustibile fossile. I loro utili sono schizzati verso l’alto: hanno incassato 192 miliardi di dollari contro i 99 dell’anno precedente. Stiamo parlando di ExxonMobil, Shell, BP e soci (pure la nostra ENI non se l’è passata male). Il mercato dell’energia ha subito un autentico terremoto. E chi ha pagato? Sicuramente quelli che hanno ricevuto a casa o in azienda le bollette del gas e dell’elettricità. Insomma l’invasione dell’Ucraina è stata una manna per i padroni del business energetico e una maledizione per tutti gli altri.
Di questo tema qualcosa si è detto anche se se n’è parlato comunque troppo poco. C’è invece un vero e proprio buco nero per quanto riguarda l’informazione sui profitti dell’industria militare. Si sta consumando talmente tanto materiale bellico ( proiettili, droni,missili) sui campi di battaglia che pare che le aziende non riescano a stare in nessun modo dietro ai nuovi ordini. Della Russia ( ci sono aziende pure lì) sappiamo ovviamente pochissimo. Ma non è che la situazione sia molto più trasparente dalla parte NATO del fronte. Conosciamo però le cifre assolute dei bilanci statali e fanno venire letteralmente i brividi. Nel 2022 la spesa militare globale ha raggiunto il suo massimo storico, 2240 miliardi di dollari, in testa ci sono gli Stati Uniti con 877 miliardi seguiti dalla Cina con 292 ( la Russia è a 86 miliardi). E l’incremento più marcato “degli investimenti” si registra in Europa con una crescita del 13%. La NATO aveva dato ai paesi membri l’obiettivo di arrivare al 2% di spesa militare sul PIL, oggi ben 7 stati aderenti sono già oltre. Nel mondo si riarmano tutti forsennatamente, ovunque, dalla Germania alla Polonia all’India. Per le aziende del settore è “festa tutto l’anno”, le commesse crescono in progressione e in borsa i loro titoli schizzano verso l’alto. Tutto questo meriterebbe decisamente un po’ di attenzione. Se gli Stati spendono le loro risorse in armamenti a cosa vengono invece sottratti i soldi? E’ evidente, vengono tolti al sociale, al benessere comune. Gli attivisti che si battono per pace e disarmo spiegano inoltre che non è vero che il comparto bellico crei occupazione. In termini comparati altri settori della vita pubblica sono molto più “arricchenti” sul piano dei posti di lavoro. E poi gli arsenali stracolmi generano inesorabilmente insicurezza, alimentano la convinzione che a qualsiasi problema o conflitto convenga rispondere con la forza.
Il cinismo in questo campo domina incontrastato la scena, basti pensare a come il continuo aggiornamento degli arsenali alimenti parallelamente, con le cosiddette “armi obsolete”, le altre decine di guerre in corso sul pianeta.
Questo a grandi linee il quadro. La democrazia richiederebbe una cittadinanza allertata, informata, coinvolta. Non è stato così in questo anno e mezzo di combattimenti in Europa. Quante inchieste si sono viste da noi sui media principali su queste tematiche? Quanti approfondimenti? Le ragioni della pace, della convivenza civile fra i popoli sono profonde, ma gli interessi che remano in direzione opposta sono enormi. Bisogna ribadirlo con forza in tutte le sedi in cui sia possibile far sentire la nostra voce.
da Voci di dentro n. 48 Giugno 2023
Sitografia
Recensione: “Di guerra in guerra” di Edgar Morin, Raffaello Cortina
https://www.ipsos.com/sites/default/files/2023-04/IPSOS%20WAR%20TRACKER%20ITALIA_w21%2022-03-23.pdf
https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Bachmut#Vittime_militari
https://sipri.org/research/armament-and-disarmament/arms-and-military-expenditure