La retorica che gronda dalle televisioni è proporzionale all’importanza del protagonista: Silvio Berlusconi. Già normalmente si tende a glorificare lo scomparso, figuriamoci con una figura così centrale nella vita quotidiana degli ultimi trent’anni (seppur con un’importanza vistosamente in calo negli ultimi tempi). Farne il controcanto significherebbe però cadere nella trappola che proprio lui ha innestato nella comunicazione e nella politica: demonizzare l’avversario.
Devo per forza partire da un accenno personale. Il giorno della morte di Berlusconi avrei dovuto condurre un dibattito sulle sorti del giornalismo con i direttori di Repubblica, Messaggero e Quotidiano Nazionale nella sede dall’Ordine dei Giornalisti. Mezz’ora prima dell’avvio è arrivata la notizia della sua morte e come in tutte le redazione abbiamo ribaltato le scalette. Massimo Martinelli, Maurizio Molinari e Agnese Pini, malgrado la breaking news, hanno accettato di partecipare lo stesso e di rispondere alle domande sul rapporto tra Berlusconi e l’informazione. Prima di riassumere le loro considerazioni ne racconto il tono: si percepiva che per loro il berlusconismo era già finito da tempo. O meglio che stiamo vivendo i cascami delle sue innovazioni (l’infotainment, la polarizzazione) che si sono intrecciate con altre “rivoluzioni” ben più profonde (i social network). Il direttore del Messaggero l’ha definito “un innovatore”; secondo il numero 1 di Repubblica è stato l’importatore del “modello americano spingendo all’estremo la polarizzazione politica”; per la direttrice di Quotidiano Nazionale “ha portato la logica del ring, dello schema con me o contro di me”, per il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti Carlo Bartoli “è stato l’artefice della disintermediazione”. Insomma parole gentili e riflessivi ma non è un bilancio positivo.
Secondo accenno personale. Oggi il televisore di casa stranamente capta solo i canali Mediaset. Ogni minuto delle loro trasmissioni manda un solo e unico messaggio: bisogna parlarne bene perché era il nostro editore. Ci sono solo i successi e se c’è da citare una condanna è un’ingiustizia.
Ma in tutta questa melassa un particolare emerge e nessuno glielo può negare: Silvio Berlusconi aveva una visione del futuro. Innanzitutto del suo futuro, ma che riusciva con i soldi e le sue aziende a illudere che fosse il futuro della collettività. Una caratteristica che manca al resto del ceto politico e imprenditoriale.