Nel ‘discorso della corona’ per la nascita della grande coalizione di destra siglata PDL (Il Popolo della Libertà, a Roma il 29 marzo 2009) Silvio Berlusconi richiamava tra i padri ispiratori anche Federico Fellini. Non so cosa ne avesse pensato dal suo Empireo il regista riminese dal momento che tra i due, come alcuni ricorderanno, non corse propriamente buon sangue.
All’inizio degli Anni Ottanta e dell’avventura mediatica del futuro Presidente del Consiglio, la Fininvest aveva acquistato il listino film della moribonda Rizzoli di cui facevano parte cinque titoli fra le opere più celebrate di Fellini: Lo Sceicco Bianco, I Vitelloni, La Dolce Vita, Otto e Mezzo, Giulietta degli Spiriti. Naturalmente le pellicole cominciarono ad essere trasmesse sulle reti del Cavaliere e interrotte senza pietà con gli spot pubblicitari. Per Federico fu uno sfregio insostenibile vedere i suoi film passati al tritacarne. Lanciò lo slogan “Non si interrompe un’emozione”, e da cavaliere solitario intentò causa al potente imprenditore di Arcore, senza neppure l’appoggio dell’ANAC (Associazione nazionale autori cinematografici) che benché totalmente di sinistra, a cominciare dal presidente Citto Maselli, si guardò bene dal rischiare l’ostilità di un tycoon che stava scendendo in campo anche come produttore cinematografico in una stagione già al declino per l’industria italiana della celluloide.
Come da storia, Fellini perse la causa, ma non rinunciò a combattere contro lo strapotere televisivo, soprattutto privato, che a suo giudizio avrebbe ucciso il cinema e stravolto irreparabilmente il tessuto culturale della Nazione. Così quando Berlusconi tentò lo sbarco in Francia con La Cinq, Federico forte dell’amicizia con Jack Lang, il ministro della cultura francese che il 9 maggio del 1984 lo aveva insignito della Legion d’Onore, utilizzò tutta la sua influenza e ben nota capacità di persuasione per mettere in guardia i cugini d’oltralpe contro il pericoloso avventuriero. Tanto che l’impresa si arenò, Berlusconi fu costretto a fare marcia indietro, e spostare il terreno di conquista in Spagna. Dichiarando in seguito con lepidezza che “Fellini da solo gli aveva causato più guai di tutta la sinistra messa insieme.”
Nel frattempo però i tempi si erano evoluti, i socialisti mostravano un feeling irrefrenabile nei confronti del grande Maestro, Enrico Manca, allora presidente della RAI (dal 1985 al 1992) decise con un eccezionale atto d’imperio di trasmettere Ginger e Fred in prima serata e senza alcuna interruzione. Mentre Sergio Zavoli si adoperava nel ruolo di conciliatore per riavvicinare i due contendenti.
Berlusconi, nonostante l’incidente giudiziario, dichiarava un’ammirata simpatia per Fellini, e più volte espresse la volontà di produrre un suo film o di intervenire finanziariamente quando veniva a sapere di particolari difficoltà nel montare un progetto. Ma Federico non cambiò mai il suo atteggiamento sdegnoso; e rispondendo alle amichevoli insistenze di Zavoli, si limitò a dire una volta: “Berlusconi sa dove si trova il mio ufficio, può venire a trovarmi quando vuole.” Lasciando capire che non sarebbe mai stato lui a muovere il primo passo.
Nel 1985 quando gli fu assegnato dal Festival di Venezia il Leone d’Oro alla Carriera, qualcuno gli riferì che su suggerimento di Berlusconi, Nicola Trussardi si rendeva disponibile a finanziare il suo prossimo film. Stavamo lavorando ai vari capitoli di Block Notes di un regista, da cui sarebbe nata “Intervista” e Giancarlo Santalmassi di RAI 3, brillante giornalista di area socialista e di incrollabile fede felliniana, aveva fatto da tramite: lo stilista chiedeva ‘soltanto’ il primo nome nei titoli testa: Nicola Trussardi presenta. Dal palco del Festival, la replica di Fellini a un cronista che lo interrogava sull’argomento, giunse rapida e tagliente: “Non mi faccio presentare il film da un sarto.”
I due illustri antagonisti non smisero dunque di guardarsi in cagnesco; Berlusconi mal sopportava, e in parte temeva, l’ostilità di un cineasta tanto venerato nell’opinione pubblica internazionale; Federico sospettava che il disegno di Berlusconi fosse semplicemente di attrarlo nella propria orbita per legittimare tramite la capitolazione del più importante artista italiano, la sua ‘irresistibile ascesa”. Per tutta risposta Federico, da vero indomabile discolo, nel suo ultimo film La Voce della Luna, raffigurò il presidente di Mediaset, in tenuta da calciatore milanista, dipinto sulla porta a vento della cucina del grande ristorante in cui si sta svolgendo un banchetto di nozze, così che i camerieri lo prendessero continuamente a calci per entrare ed uscire con le mani occupate da piatti e vassoi.
Ma lo scontro non si concluse qui. Ebbe un seguito poco edificante.
Quanto Fellini colpito dall’ictus cerebrale cadde in coma nel reparto di Neurologia del Policlinico Umberto I di Roma, a esacerbare gli animi era intervenuto un episodio scandaloso, sciagurato, di rivoltante cinismo.
Sul televideo la notizia era apparsa alle 1.10 di notte di sabato 23 ottobre:
FELLINI: SITUAZIONE SEMPRE DISPERATA
Fa discutere la diffusione di una foto di Fellini in agonia. L’episodio di sciacallaggio è stato denunciato dal prof. Turchetti, medico del regista. Il ministro della Sanità e la direzione del Policlinico hanno avviato un’inchiesta sull’accaduto. Giulietta Masina, moglie del Maestro, ha ringraziato calorosamente i giornali che non hanno pubblicato quella foto.
Qualcuno era penetrato nella cella sterile di Fellini e l’aveva fotografato rimuovendo il bendaggio che serviva ad assicurare l’indispensabile umidità ai bulbi oculari, e abbassando sul busto il telo di gomma che lo ricopriva. Il ricoverato privo di coscienza era stato messo in posa e il suo povero corpo esposto senza ritegno all’obiettivo per essere offerto al miglior offerente. Un’azione abbietta, che non avrebbe potuto essere compiuta senza la complicità del reparto, la compiacenza del personale sanitario, la colpevole distrazione di tutti i responsabili gerarchici. L’avevano venduto.
L’immagine impietosa era stata trasmessa dall’agenzia Reuters, ma con unanime, spontanea, compatta decisione, tutti i giornali italiani si erano rifiutati di divulgarla e di aderire a quell’immondo sciacallaggio. La RAI non l’aveva inserita nei suoi telegiornali. Era stata la televisione svizzera a trasmetterla per prima e, a ruota, erano seguiti i notiziari di Canale 5 e Retequattro. Gli spettatori avevano provato un intollerabile senso di raccapriccio: Federico ischeletrito, rimangiato, il grosso torace irriconoscibilmente sparuto. Vincenzo Mollica confidava agli amici: «Un’immagine che non si dimentica più.» Ferito e personalmente indignato per quel grave gesto di empietà attribuito a Berlusconi, aveva deciso di montare precipitosamente e trasmettere la sera stessa, un collage di interviste in cui Fellini, amabilmente, ricamava contro Sua Emittenza commenti da incenerire.
Fu l’ultimo capitolo di uno scontro a distanza che non poté concludersi altrimenti, per l’improvvisa e precoce scomparsa del regista. Cosicché nessuno potrà mai sapere cosa giaceva in grembo al destino e se Silvio Berlusconi grazie alle sue innate arti ammaliatrici e diplomatiche sarebbe riuscito a conquistare anche la roccaforte del celebre e amato avversario.
Al quale tuttavia alla fine aveva reso, apertamente e idealmente, l’onore delle armi. Non potendo più essere contraddetto, nel giorno del proprio trionfo in politica, nell’adunata oceanica di Roma, si era spinto addirittura a evocarne la figura protettiva, riconoscendone insieme all’alto magistero artistico il prezioso contributo nella difesa della libertà dell’uomo. Un gesto meritorio e legittimo da parte di un leader carismatico che su tale battaglia di libertà, sia pure con stile e metodi poco graditi a molti rappresentanti dell’opposizione, aveva saputo avviare un nuovo corso nel Paese disincagliandolo dalla soffocante e intimidatoria egemonia di una sinistra apparentemente inespugnabile da più di mezzo secolo.
L’omaggio a Fellini nel discorso di insediamento, il richiamo pubblico al grande artista come depositario dello spirito guida di un’intera nazione, mi sembra vada considerato oggi un nobile gesto, il lascito di un solido presidio al precipitoso mutare dei tempi verso scenari di difficile interpretazione.