Sette e mezzo, cioè 7,5, è la media dello share di Rai 3 negli ultimi anni. La mitica terza rete, all’interno della quale l’informazione giornalistica è garantita dal TG3, nacque nel lontanissimo 1979 per dare spazio all’informazione regionale – idea ancora oggi vincente pur con molte luci e ombre – e alla cultura “alta”. Per alcuni anni mantenne questa missione editoriale, fino a quando, alla fine degli anni 80, Biagio Agnes ed Enrico Manca decisero che la concorrenza già forte dell’emittenza privata, la Fininvest di Berlusconi, bisognava batterla ampliando la platea, il pubblico della Rai.
Agnes era stato indicato dalla DC, amico di Ciriaco de Mita, la stagione dell’Irpinia, Manca era un socialista non propriamente craxiano ma neanche nemico del segretario del PSI. Era lottizzazione, quella lottizzazione che però cercava i migliori del proprio campo, promuoveva i migliori anche all’interno dell’azienda scegliendo spesso tra gli affidabili ma anche fra quelli bravi, soprattutto fiutava dove andava il vento. E comunque difendeva la Rai.
Nacque così una terza rete diversa: quella affidata alla sinistra, allora forte del consenso elettorale del PCI, e fu scelto per dirigerla uno dei migliori (io dico il migliore) uomini di televisione di sempre: Angelo Guglielmi.
Il seguito lo racconta la storia della TV degli ultimi decenni. I programmi di quella Rai 3 hanno tutti lasciato un segno indelebile e alcuni sono ancora in onda a mietere ascolti.
Poi arrivò Berlusconi. Nell’estate del 1994 tutti i direttori furono cambiati, compreso Guglielmi, sostituito da Luigi Locatelli. La rete perse smalto e ascolti, mantenendo però l’identità forte della gestione precedente.
Da allora ad oggi si sono susseguiti nove direttori, alcuni molto incisivi, altri meno, ma la terza rete o se preferite Rai 3 ha mantenuto un suo richiamo costante per un pubblico progressista ma anche semplicemente interessato a nuovi format, pensiamo a “Report”, a sperimentazioni, a novità fra conduttori e animatori. Tutti i record assoluti di ascolto della rete sono stati ottenuti da Fabio Fazio, non solo con “Che tempo che fa”, un’invenzione di Paolo Ruffini, ma anche con la prima puntata di Fazio e Saviano in “Vieni via con me”: quasi otto milioni di spettatori e uno share superiore al 25%.
E infatti la rete si consegna all’occupazione militare del nuovo potere di destra con il suo 7 e mezzo di share, ancora frutto della divisione in reti e testate, la tanto vituperata “tripartizione” che milioni di italiani rimpiangeranno moltissimo. La ristrutturazione, finora sulla carta ma che diventerà reale, in generi al di sopra delle reti aveva ovviamente un senso e una migliore adesione al mondo digitale in cui siamo immersi da alcuni anni, ma viene applicata nella pratica proprio nel momento in cui questo governo supera la logica, perversa ma in qualche modo pluralista, della lottizzazione per passare all’occupazione totale. Il direttore di rete non c’è più e decidono i responsabili dei generi, a loro piacimento. Eppure un tempo la terza rete era l’unica ad essere “canale” e ad avere la massima riconoscibilità. Ora vedremo i presunti “guru” della destra, della estrema destra in quanto tutti legati al partito di Fratelli d’Italia, al posto di collaudati protagonisti della televisione e della cultura (cito solo Augias e Annunziata) perché questo serve al progetto sciagurato, e che noi combattiamo, della riscrittura della storia e della Costituzione repubblicana. Non serve a fare ascolti, al contrario, li farà crollare. Quel sette e mezzo di Rai3 fra un anno sarà un lontano ricordo. Ma il guaio è che a perdere non sarà solo la Rai, sarà la nostra democrazia.