La pandemia, il lockdown, il distanziamento fisico, chiamato impropriamente sociale, hanno generato sofferenza e disorientamento, una inedita mancanza e un vuoto generato dalla sospensione.
Una sospensione inattesa e inaspettata. La nostra cultura non prevede fughe o sospensioni ed è, forse, questo uno dei motivi per cui si è andata a schiantare dritta contro la pandemia.
Diverse culture predispongono “vie di fuga” come soluzioni indispensabili e salutari all’effetto “gabbia” che ognuna di esse tende a produrre. La megacultura occidentale, identificabile come dell’Antropocene, non ha previsto vie di fuga o alternative a se stessa. L’Ekyusi dei BaNande del Nord Kivu – Congo e lo Shabbath degli Ebrei sono “traumi” che una cultura impone a se stessa, auto-sospensioni mediante le quali una cultura si costringe a “mettere tra parentesi” se stessa e le proprie pretese di dominio. Un valido modo per riconoscere che, oltre a se stessa, vi sono altre realtà (la terra, la foresta, …) da cui gli esseri umani ricavano risorse e che potrebbero esistere benissimo anche senza il lavoro degli uomini. Il lockdown, questa sospensione tanto inattesa quanto destabilizzante, ha paurosamente arrestato gli ingranaggi di una poderosa macchina economica che siamo abituati a pensare non solo come inarrestabile ma anche come universale, come un qualcosa di sacro e di intoccabile. Ciò che manca alla nostra civiltà è esattamente l’idea del limite, del proprio limite. La nostra cultura, così piena di lumi forniti dalla scienza, è priva dell’illuminazione che proviene dalla pratica dell’auto-sospensione, dalla pratica del suo arresto. Questa brama, anche definita “il male dell’infinito”, è la fonte dei problemi che affliggono la società moderna: sregolata, anomica, patogena. Le auto-sospensioni traumatiche introducono, nelle culture che le praticano, un forte senso del limite. Le obbligano a ritornare alla natura, fanno loro vedere la fine, fanno accettare l’arresto, fanno incorporare la morte. Ma non è una morte di desolazione, una desertificazione: la morte delle imprese culturali coincide con il riconoscimento dei diritti della natura. Siamo talmente intrappolati nelle maglie fitte di questa ipercultura e, come afferma Fred Vargas, non facciamo altro che avanzare alla cieca, inconsapevoli e sprovveduti.1
All’avvento della pandemia da Covid-19 tutto è cambiato: il mondo con il quale avevamo organizzato la vita, la scuola, l’economia, il lavoro. E ora va ripensato anche il futuro.
Per Gabrielli, tutto ciò è servito a capire che l’esperienza umana non è tale senza le relazioni che la sospensione dell’isolamento ha tolto quasi per intero.
Molti interrogativi si pongono ora che tutto sta ritornando alla tanta agognata “normalità” perché mai bisogna dimenticare che la pandemia ha accelerato dei processi in atto e che, forse, anche se più lentamente, si sarebbero manifestati comunque.
L’isolamento è stata una necessità e il digitale uno strumento oppure la pandemia è stata un accelerante per “rifugiarsi” ancora di più nel mondo virtuale? Inoltre, come rimettere al centro del palcoscenico organizzativo le relazioni senza buttar via i benefici della tecnologia? La digitalizzazione come sta cambiando le relazioni tra umani? Come ci fa guardare l’altro? Come ci fa guardare e sentire noi stessi?
Da molto tempo prima della pandemia la quarta rivoluzione, ovvero quella legata alla diffusione di un’infosfera, sempre più delocalizzata, sincronizzata e correlata, ha aperto la strada alla nuova esperienza onlife, con il quale si sta mescolando.2
Si sta andando sempre più velocemente verso un mondo intero a portata di click, dove tutto è più semplice, veloce e immediato. Una realtà virtuale sempre più mescolata al reale piena, però, di insidie e di lati oscuri. Una vera e propria “prossimità aumentata” nel campo delle relazioni, anche nel mondo del lavoro, che possono svilupparsi sia attraverso la compresenza fisica sia mediante la compresenza digitale.
Ed è proprio sulle relazioni che indagano a fondo gli autori, scrutandone i diversi aspetti, sociali e professionali. Un’indagine che parte dell’essere umano e ad esso ritorna, evidenziandone così il ruolo, che deve restare centrale, anche nelle connessioni virtuali.
Il libro
Gabriele Gabrielli (a cura di), Attraversare la distanza. Per una nuova prossimità nella società, nelle imprese, nel lavoro, Franco Angeli, Milano, 2022.
Con contributi di: Luca Alici, Maurizio Franzini, Gabriele Gabrielli, Raoul C.D. Nacamulli, Luca Pesenti e Silvia Pierosara.
Il curatore
Gabriele Gabrielli: ideatore e presidente della Fondazione Lavoroperlapersona, è imprenditore, executive coach e consulente. Professore a contratto di Organizzazione e gestione delle risorse umane alla Luiss Guido Carli. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative.
1M. Aime, A. Favole, F. Remotti, Il mondo che avrete. Virus, antropocene, rivoluzione, Utet, Milano, 2020.
2L. Floridi, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina, Milano, 2017.