Il 9 maggio, festa dell’Europa, Giorgia Meloni ha aperto le danze, convocando tutte le opposizioni a Palazzo Chigi, per confrontarsi sulle riforme costituzionali di cui l’Italia avrebbe bisogno. La
Meloni non ha squadernato un suo progetto, anche se noi sappiamo che il suo modello ideale è l’iperpresidenzialismo di tipo francese per il quale ha presentato, nella passata legislatura, un
disegno di legge di modifica della Costituzione (A.C. 716), che è stato bocciato per pochi voti. In realtà l’incontro è servito a sondare la resistenza che potrebbe incontrare in Parlamento e nel paese
ai suoi progetti di riforma del modello di democrazia instaurato dalla Costituzione repubblicana.
Il Presidenzialismo è stato sempre un cavallo di battaglia del MSI di Giorgio Almirante. Esso
esprimeva la tradizionale insofferenza dei fascisti per il regime parlamentare, coniugata con una concezione autoritaria dei poteri pubblici. Giorgia Meloni, che ha sempre orgogliosamente
rivendicato la sua provenienza da quel fronte e da quella cultura politica, adesso ha la possibilità di mettere mano a quel progetto, incidendo su quegli assetti della democrazia costituzionale che i
Costituenti avevano concepito per preservare l’ordinamento dal pericolo di svolte autoritarie. Altri prima di lei, accecati da una bulimia di potere, avevano posto mano a progetti di riforma della
Costituzione rivolti a dare più potere al potere. Prima di lei ci aveva provato Berlusconi nel 2005, puntando ad una sorta di “premierato assoluto”, riforma sconfitta nel referendum del 2006. Poi ci
aveva riprovato Renzi nel 2016, modificando la Costituzione e la legge elettorale, il c.d. Italicum, volto a creare le condizioni per il governo di un partito unico, sennonché il popolo italiano aveva
bocciato la riforma con il referendum e la Corte Costituzionale aveva dichiarato incostituzionale l’Italicum. La Meloni è cosciente del rischio che le proprie ambizioni costituenti possano essere
travolte dal referendum, che opportunamente i Costituenti avevano previsto a garanzia della stabilità della Costituzione. Per questo non ha ancora calato le carte sul tavolo, essendo disponibile
a scegliere fra i vari progetti quello che potrebbe incontrare la minore resistenza in Parlamento.
Sono, tuttavia, venuti fuori quelli che per la Meloni rappresentano dei punti fermi, enunciati come: rispetto del voto dei cittadini e rispetto dell’impegno assunto con gli elettori di fare le riforme.
Sotto la formula del rispetto del voto espresso dai cittadini, si cela l’opzione per una democrazia dell’investitura. La riduzione delle procedure della democrazia all’investitura del capo politico che,
essendo eletto direttamente dai cittadini ha il diritto/dovere di governare, senza subire condizionamenti di sorta dal Parlamento o dagli organi di garanzia, costituisce la vera concezione
istituzionale di questa destra. La Meloni è disposta a trattare sul modello ma non sul principio dell’investitura. A questo riguardo, le “aperture” di Renzi e di Calenda sul c.d. “sindaco d’Italia” le
hanno fornito un atout formidabile.
L’altro punto fermo è quello di un preteso rispetto degli impegni assunti con gli elettori.
Su questo punto occorre essere chiari, finquanto è vigente la Costituzione italiana nessun partito può promettere agli elettori di fare la pelle alla Costituzione italiana perché sarebbe un atto
eversivo. La gara elettorale si svolge all’interno di un quadro di regole e valori. Coloro che ottengono la maggioranza in Parlamento hanno il dovere di governare e sviluppare il loro progetti
politici all’interno del quadro costituzionale predefinito, ma non possono attribuire al mandato elettorale l’obbligo di rovesciare il tavolo. Le Istituzioni nelle quali si incarna l’Ordinamento della
Repubblica (Parlamento, Governo, Presidenza della Repubblica, magistratura indipendente, Corte Costituzionale, ordinamento delle Regioni e degli Enti locali) rappresentano la casa comune del
popolo italiano. Le forze politiche incaricate della responsabilità del Governo del paese, sono gli inquilini di questa casa comune, hanno il dovere di amministrarla, possono abbellirla, ma alla fine la devono consegnare intatta a chi verrà dopo di loro. Questo non significa che non si possono fare delle riforme costituzionali e realizzare dei ritocchi alle mura dell’edificio comune. Tuttavia le
modifiche della casa comune dovrebbero essere estremamente limitate, rispettose delle esigenze di tutti gli abitanti della casa, e quando imposte da una maggioranza politica, dovrebbe sempre essere consentito al popolo italiano di scegliere se approvarle o meno.
Chi si vuole avvalere della democrazia dell’alternanza, dovrebbe garantire che non demolirà la casa comune. Invece noi
registriamo che i nuovi governanti manifestano il proposito di sfasciare l’edificio istituzionale che ci ha consegnato la Costituzione per sostituirlo con un altro ispirato ad una differente concezione,
che si potrebbe definire di “democrazia illiberale”, di cui in Europa vediamo degli esempi nel modello ungherese ed in quello polacco. Non c’è solo l’attacco alla Costituzione formale, c’è un
attacco al pluralismo, con la pretesa di controllare la RAI per cambiare la narrazione pubblica ed il senso comune del popolo italiano. A grandi passi stiamo scivolando verso la costruzione di un
regime. Quando la Meloni invoca la stabilità, viene da pensare al governo più stabile che abbiamo mai avuto in Italia: quello del ventennio!