Epurazione. Fabio Fazio non pronuncia questa parola contro la Rai targata governo Meloni ma il senso è questo. Il conduttore televisivo annuncia su “Oggi”: la coalizione di destra-centro dopo la vittoria nelle elezioni politiche si comporta «da proprietaria nei confronti della cosa pubblica» e «con una strabordante ingordigia».
Sul settimanale spiega il divorzio dall’azienda pubblica radio-televisiva dopo 40 anni di lavoro: «Come si sa è cambiata la narrazione». Traduzione: l’esecutivo Meloni vuole far passare anche sui mezzi di comunicazione i suoi valori, i suoi programmi di destra.
Matteo Salvini, con alle spalle anni di continui attacchi al conduttore televisivo accusato di partigianeria verso la sinistra, non trattiene l’esultanza. Il vice presidente del Consiglio, ministro delle Infrastrutture, segretario della Lega ironizza: «Belli ciao». Il riferimento è a Fazio e alla sua stretta collaboratrice Luciana Littizzetto. Non si tratta certo di un pacato commento da statista. Tra l’altro il governo, tramite il ministero dell’Economia, ha un ruolo importantissimo: controlla la Rai, è l’azionista.
Fazio non rimarrà disoccupato. Lasciato “Che tempo che fa”, il suo programma di grande successo trasmesso su Rai3, andrà a lavorare con Luciana Littizzetto a canale Nove, una rete televisiva italiana di proprietà della Warner Bros. Discovery. Non si tratta certo di un gruppo di sinistra: è una multinazionale statunitense ramificata in tutto il pianeta, un gigante con interessi nel mondo del cinema, dei media e dell’editoria. Fazio andrebbe a guadagnare di più: salirebbe a 2,5 milioni di euro l’anno dai circa 2,2 milioni attuali. Può portare in dote una sterminata platea di spettatori (in media 2.400.000 ascoltatori guardano “Che tempo che fa”) con un ingente incasso di pubblicità.
«È il mercato bellezza!» direbbe Humphrey Bogart. Ma qui non c’è solo un problema economico, c’è anche un grande problema politico, di libertà e di completezza dell’informazione. Si può discutere o meno la bontà di “Che tempo che fa”, ma privare il servizio pubblico radio-televisivo di uno dei suoi maggiori punti di forza è un autogol clamoroso. Nessuno dal vertice di viale Mazzini ha mosso un dito per rinnovare il contratto con Fazio. Di fatto è stato spintonato verso l’uscita. La Warner ringrazia. Fazio andrà a lavorare a Nove, la tv nella quale fa già faville un fuoriclasse come il comico Maurizio Crozza.
Certo in passato i governi di centro-sinistra, di centro-destra, populisti Lega-M5S non hanno scherzato. Ora la Rai cambia di nuovo pelle a destra. Il governo Meloni controlla saldamente la televisione pubblica e può contare sul sostegno delle reti Mediaset, i canali di proprietà della famiglia Berlusconi.
È una concentrazione di fuoco comunicativo enorme. Però ai partiti non basta controllare televisioni, giornali e web per mietere voti. Gli elettori vogliono risultati dai governi: stipendi e pensioni dignitosi, posti di lavoro stabili, ospedali pubblici efficienti, cura dell’ambiente per impedire disastrose siccità e alluvioni.
I nuovi equilibri politici pesano. Roberto Sergio è stato nominato amministratore delegato al posto di Carlo Fuortes. La scelta è passata grazie ai voti a favore dei rappresentanti della maggioranza di destra-centro mentre l’opposizione si è spaccata: si è astenuto il delegato cinquestelle e quello dei dipendenti dell’azienda. Solo il rappresentante del Pd ha votato contro. Nei corridoi di viale Mazzini e di Saxa Rubra si parla di trattative frenetiche per i direttori e i vice dei telegiornali, delle reti televisive e radiofoniche. Giuseppe Conte si è posizionato per ottenere il massimo.
La situazione è strana. Solo Salvini, tra i numeri uno del governo e della maggioranza di destra-centro, attacca Fazio a testa bassa. Lo seguono solamente le seconde e terze file dell’alleanza tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Enrico Letta, ex segretario del Pd, accusa la destra perché con l’addio del conduttore «fa un danno alla tv, alla cultura e all’Italia». Tace invece la segretaria democratica Elly Schlein. Tace anche Giorgia Meloni, presidente del Consiglio e capo di Fratelli d’Italia.
Rodolfo Ruocco