Nel silenzio del luogo sacrale, scenograficamente lineare, bianco, nero negli arredi preannuncio di lutto, mentre la nutrice fa il suo ingresso portando un’emblematica valigia e narrando il triste destino della sua padrona, si innalzano fuori campo le grida e i lamenti della donna più ferita e più furente della mitologia greca: è Medea, la tradita, l’abbandonata, l’esiliata, l’innamorata delusa e dolente, giustamente irata ma barbaramente vindice.
La causa di tanto dolore è l’oltraggio subito da Giasone, marito e padre dei suoi due figli, che segretamente ha deciso di sposare Glauce, la giovane figlia del re Creonte, ripudiando lei, la straniera della Colchide che gli ha donato insieme al vello d’oro tutta se stessa e lo ha seguito a Corinto, ha tradito la patria, ha ucciso i parenti, presa da folle passione. Ora Creonte, temendone le arti malefiche, la vuole umiliare cacciandola da una terra divenuta inospitale. Il furore della donna è incontenibile. Solida e razionale nella decisione di vendicare il suo onore, non distoglierà, se non per qualche momento di umana esitazione, la sua mente protesa all’orribile vendetta che cova nell’animo esacerbato.
Figura terribile e quasi disumana nella sua ferocia arcaica, Medea, una ferrigna Laura Marinoni, getta stille di dolore sanguinolento da tutti i pori, sotto una corazza di glaciale fermezza, mentre incede in scena, con dignità regale, maestosa e granitica nelle ammantate vesti sormontate dal copricapo di un’aquila reale, a evocare la forza primigenia del mondo animale, gli istinti ferini di cui è pregna l’aria, sottolineati dalla regia di Federico Tiezzi che privilegiando un simbolismo dirompente, unico particolare esteticamente non del tutto convincente, presenta i personaggi con maschere del mondo animale: conigli i teneri figli, caimano lo spietato Creonte e i suoi ministri, in un incipit quasi giocoso. E’ tutt’altro che un gioco quel che attende Giasone con cui Medea fremente, in preda a strazianti conflitti, ha un primo, aspro confronto, dove si mescolano amore e odio in un alternarsi parossistico e sconvolgente. Modulando il suo atteggiamento, in un secondo incontro la ripudiata si finge mansueta dicendo di assecondare i progetti del marito che le vuole far credere che convola a nuove nozze per migliorare il destino della sua attuale famiglia.
La maga, la discendente del Sole, fintamente supplice stringe le ginocchia dello sposo, chiedendo asilo per i figli ai quali, messaggeri inconsapevoli di morte, affida con raffinata e crudele strategia doni preziosi da offrire alla sposa; in realtà il manto e la corona sono intrisi di un veleno potentissimo che ucciderà la rivale, quando non resisterà alla tentazione di indossarli e ne morirà tra atroci tormenti come il padre Creonte, accorso in suo aiuto. La notizia arriva a Medea sulle parole per lei alate di un Nunzio che narra superbamente l’orrido eccidio. Ora dovrà compiere il gesto più spaventoso che mente umana possa concepire: l’uccisione dei suoi figli. Li vuole sottrarre a un terribile destino, ma vuole anche punire Giasone, che lascerà vivo per infliggergli questo immenso ed eterno dolore. In una scena di alto impatto drammatico, attraversata da fasci di luce rossa e dal canto del coro, si elevano le grida altissime dell’infanticidio, in un emozionante ensemble di suoni e cromatismi, per poi spegnersi, lasciando spazio alla desolazione di una famiglia distrutta. Mentre gli arredi precipitano sul piano inclinato della casa diruta, issata sul mitico carro, una gru vistosamente tecnologica, in lussuose vesti auree, Medea, la guerriera, simbolo di autodeterminazione, domina dall’alto il dolore insopportabile di Giasone che le inveisce contro inutilmente. Giustizia è fatta. La figlia del Sole troverà rifugio presso lo sterile re di Atene Egeo, che le ha giurato di accoglierla in cambio di una promessa fertilità e, come se non bastasse, porterà con sé, sottraendole al padre, le spoglie mortali dei figli a cui tributerà onori nella terra ospite. Euripide consegnandoci l’ultima immagine di Medea trionfante sul carro nel fulgore finale ne esalta chiaramente l’indole selvaggia: la legge naturale contro la società corrotta.
Scritta nel 431a.C., attuale e coinvolgente per la potenza dei temi trattati che purtroppo trovano degli epigoni nella nostra società malata, nella rivisitazione della regia di Tiezzi “Medea” vibra di modernità, sia nella scenografia che nei costumi dei personaggi in contrasto con l’arcaica protagonista, unica a indossare vesti mitiche, una scelta apprezzabile sia esteticamente che nel significato. La freschezza struggente degli interventi corali giovanili invece rinnova il nodo centrale del mito: l’infanticidio per mano di chi è madre e assassina dei suoi figli. Colei che ha dato loro la vita, dà loro la morte. Pietà e orrore senza fine. Attraverso un raffinato approfondimento psicologico l’inconscio spalanca le sue terribili porte sprofondandoci negli abissi della psiche per poi ricondurci alla luce. La grandezza della tragedia sta in questo espandersi della coscienza. L’opera si avvale altresì di un notevole cast che affianca sinergicamente la convincente Laura Marinoni, protagonista in ruolo: dal fremente, umano, ingenuo Giasone di Alessandro Averone, alla fresca e incisiva Corifea di Francesca Ciocchetti, al potente Nunzio di Sandra Toffolatti, alla efficace nutrice di Debora Zuin, al manageriale Creonte di Roberto Latini, alle suggestive performance corali anche canore dei due cori. Toccante la scena conclusiva dove la quotidianità del gesto delle inservienti sul piano inclinato del dolore è in netto contrasto con l’orripilante delitto, mentre la gloria di Medea che ascende sulle miserie terragne si configura come affermazione del suo potere di donna, anche se, orbata dei figli, per sempre infelice. Del resto l’infelicità è il prezzo che il genere umano paga per vivere. Parola di Euripide.
MEDEA
di Euripide
Regia Federico Tiezzi
Traduzione Massimo Fusillo
Scenografia Marco Rossi
Costumi Giovanna Buzzi
Disegno luci Gianni Pollini
Maestro coro Francesca Della Monica
Musiche prologo Silvia Colasanti
Cast
Laura Marinoni, Alessandro Averone, Roberto Latini, Debora Zuin, Luigi Tabita, Riccardo Livermore, Francesca Ciocchetti, Sandra Toffolatti, Simonetta Cartia.
Coro
Alessandra Gigli, Dario Guidi, Anna Charlotte Barbera,Valentina Corrao, Valentina Elia, Caterina Fontana, Francesca Gabucci, Irene Mori, Aurora Miriam Scala, Maddalena Serratore, Giulia Valentini, Claudia Zappia.
e con
Il coro degli allievi e allieve dell’Accademia d’ Arte del Dramma Antico.
Produzione INDA. Istituto nazionale del dramma antico
Al Teatro Greco di Siracusa fino al 24 Giugno
Medea di Euripide, eroina e assassina scuote le chiome e gli animi al Teatro Greco di Siracusa