Milano, estate 2021 una ragazza è al suo primo impiego come barista in un locale di proprietà di un uomo che oggi deve rispondere davanti alla V sezione penale del Tribunale di Milano presieduta da Elisabetta Canevini e i due giudici a latere Maria Pia Bianchi e Vincenza Papagno per aver palpeggiato la giovane che nella sua deposizione racconta: “Stavo lavando i piatti e lui da dietro mi ha palpeggiato la chiappa sinistra. Poi ha fatto finta di niente, io dovevo uscire da lavoro, ho preso e gli ho detto di non permettersi più, me ne sono andata. Fuori c’era il mio ragazzo che mi stava aspettando”. La domanda è: palpeggiare la propria dipendente equivale a una stretta di mano? Per ora proseguiamo con il racconto della giovane querelante: “Non ho detto niente a nessuno per i primi giorni perché avevo paura di deludere i miei genitori perché era il mio primo lavoro e quindi non ho detto niente neanche per la vergogna. Poi, dopo un po’ – continua la ragazza- io dovevo andare a lavorare a non sono andata, infatti ho detto al signor P. che avevo il raffreddore. Mi sono inventata una scusa. Poi mia mamma mi ha chiesto di andare a prendere il pane da mio papà che lavora al supermercato. Mi sono ritrovata il signor P. davanti agli occhi e da lì mi sono messa a piangere, ho chiamato mia mamma e le ho detto la verità”. Ora veniamo alla questione degli abusi di potere quotidiano. Quelli che qualche maschio illuminato definisce minori. Come il barista stupito che la ragazza, dopo poche settimane da quella vicenda, si sia licenziata.
Tutto accade in pochi metri di un quartiere della metropoli Milano, poco distante dalla luccicante “city life”.
Il padre che lavora in un negozio, conosce il proprietario del bar situato vicino a casa della famiglia e chiede chiede se la figlia può essere assunta nel periodo estivo.
Poi quel gesto, la palpeggiata, da parte dell’uomo adulto nei confronti della ragazza: datore di lavoro che, secondo il racconto, avrebbe abusato della sua posizione nei confronti della giovane dipendente.
Una vicenda che il padre stesso non ha voluto lasciare cadere, anzi. Ha infatti presentato querela nei confronti dell’uomo che, secondo le ricostruzioni, addirittura aveva chiesto il motivo per il quale la ragazza, nelle settimane seguenti, si fosse licenziata.
Il procedimento penale è stato avviato dalla pm Alessia Menegazzo e coordinato dall’aggiunto Letizia Mannella del V Dipartimento della Procura di Milano.
Uno spaccato di società: il fatto che nella mentalità e nelle consuetudini di taluni uomini la “manata sul sedere” non sia nulla di grave, anzi: quasi equiparabile alla stretta di mano.
Ma in questo caso non è rimasta impunita a dimostrazione che le giovani donne, oggi diversamente da quanto purtroppo accadeva in passato, non sono disposte a soprassedere e lasciar perdere.
Restano gesti, modi di fare e azioni compiute da chi ha più potere e che persino procurano un ingiusto, ingiustificato e insensato senso di colpa in chi li subisce. Come se la vittima fosse lei stessa la causa