L’usignolo, il leone e il voto

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Che i sondaggi della vigilia abbiano ritenuto plausibile un exploit sino a poco tempo fa impensabile, la vittoria al primo turno del candidato dell’opposizione in Turchia, dà la misura di quanto questo voto, che cade nel decennale delle proteste del parco Gezi, resterà storico, anche se il ballottaggio del 28 maggio con tutta probabilità decreterà la vittoria del presidente uscente Recep Tayyip Erdogan. E i prigionieri politici Osman Kavala e Selahattin Demirtaş non usciranno, come si era sperato, dal carcere.

Persino le città devastate dal terremoto del 6 febbraio scorso, con l’eccezione della sola Dyarbakir capoluogo del sudest a maggioranza curdo, sono andate al presidente uscente. E si sono prese, sui social, gli insulti di chi non la pensa come quella donna che giorni fa, a Maraş rispondeva a un giornalista: “Risentita con Erdogan? Prima di lui la Turchia era un villaggio. Ricostruirà.”

Il presidente è sulla breccia da 30 anni – se si includono quelli da sindaco della capitale economica e della bellezza, Istanbul. Ha saputo sopravvivere a un golpe, traendone il pretesto per eliminare, a colpi di processi, il dissenso. Ha messo la Turchia al centro della scena – “il voto, una lezione per Biden!”, ha detto in uno dei suoi ultimi comizi. E venderà a peso d’oro agli alleati l’ingresso della Svezia nella Nato, che comunque, alla fine, accorderà.

La  formazione di estrema destra di Devlet Bahceli, sua alleata, è andata meglio delle previsioni. E la maggioranza conquistata in parlamento, insieme da Akp e Mhp, tirerà al presidente la volata verso il secondo turno.

Come pure andranno a lui anche molti voti ottenuti dal terzo candidato alle presidenziali, Sinan Ogan, che con il suo 5% ha già chiesto, per l’endorsment al ballottaggio, di eliminare le formazioni filocurde dal sistema politico. Richiesta irricevibile per il candidato dell’opposizione Kilicdaroglu.

E voglio anche, è chiaro, la  partenza di tutti i siriani.” dichiara Ogan, nel valzer delle trattative. Via i profughi: tra vincitori e vinti, c’è sempre qualcuno più sconfitto.

Ma l’opposizione ha fatto un piccolo miracolo. E lo si capisce guardando la mappa dei risultati del voto, di quest’eterno Giano bifronte che è la Turchia. Istanbul, Ankara e la costa, sono andate a Kilicdaroglu. L’Anatolia profonda a Erdogan. E sin qui nulla di nuovo, sotto il sole di un’estate che arranca.

Ma a Kilicdaroglu è andato anche il sudest curdo. Che mai aveva votato prima per gli eredi di Mustafa Kemal.

Ora però aveva  davanti un Kemal diverso. Anche lui minoranza. A Dersim, dove Kemal  Kilicdaroglu è nato, nel 1938 migliaia di curdi aleviti come lui, furono uccisi dall’esercito turco. Quello di Atatürk, padre di una patria che considerava le minoranze meno cittadine dei turchi.

Alcuni alleati di Kilicdaroglu hanno storto la bocca al momento della sua candidatura a sfidare Erdogan, proprio per queste origini. E certo non perché non avesse tempra o forza d’animo, lui che nell’estate del 2017 si fece a piedi i 450 chilometri tra Ankara e Istanbul, al grido hak hukuk adalet! Per la legge e per lo stato di diritto.

E ora, di fronte all’infrangersi di un’illusione che sapeva di utopia, c’è già chi vorrebbe imputare agli errori strategici di Kemal Kilicdaroglu la mancata vittoria. In particolare alla sua scelta di allearsi con i curdi e il loro partito, Sinistra Verde,  in cui si è reinventato l’HDP di Demirtaş eternamente a rischio di chiusura per decisione della suprema corte. E non, magari, al controllo che ha Erdogan delle risorse statali, alla rete di clientelismo e dipendenza tra potere e imprenditoria, così vitale nei momenti di crisi economica. O al suo dominio totale sui media: tra il 1° aprile e l’11 maggio sul canale pubblico TRT, il tempo di parola assegnato al presidente è stato di 48 ore, allo sfidante di 30 minuti.

La Turchia è polarizzata, si commenta dopo le elezioni. Ma non da adesso. Scrive Kaya Genç nel suo bel libro Il leone e l’usignolo, in Italia pubblicato da La Stanza del Mondo, “A volte ho l’impressione che la storia turca sia da sempre dominata da due forze contrapposte: l’Usignolo, che rappresenta il canto, la letteratura e il romanticismo; e il Leone, che simboleggia la forza, le milizie, il potere.

In Turchia, oggi, l’Usignolo cinguetta ancora, nonostante gli artigli del Leone. E presto, forse, potrà tornare  a volare.


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