Una commedia di situazione in dialetto napoletano, ‘italianizzato’, con al centro un artista che vive nel dramma di non essere capito: geniale o scarso? Immerso in un grottesco entourage. Un testo che mette in luce, in modo leggero e divertente, il disagio continuo nello stare al mondo che caratterizza la vita di chi non si adegua alle convenzioni. Da venerdì a domenica in scena nella Capitale al Teatro dei Documenti. Ne abbiamo parlato con l’autore e attore Michele Carnevale.
Una suocera arcigna, un portiere condominiale stralunato, un idraulico disonesto e un manager spietato, fanno da cornice alle grottesche giornate di Roberto Taviano, un artista napoletano squattrinato, che vive una situazione economica e matrimoniale sempre sull’orlo di una crisi di nervi. Per salvare la relazione e non essere sfrattato da casa ha una sola chance: vendere “L’ imbuto cosmico”, la sua ultima opera.
“Roberto Taviano è un artista: scrive, scolpisce, ma non riesce a sfondare ed è costretto a vivere in casa della suocera. Il rapporto con la suocera è già complesso di suo, ancor più se non porti i soldi a casa!” ci ha raccontato Michele Carnevale, tre anni presso il Conservatorio Teatrale Diotiaiuti di Roma dopo la laurea in Scienze delle Comunicazioni e un Master in Sceneggiatura, autore della sceneggiatura e attore in scena, nei panni appunto della suocera arcigna.
“Il dramma del protagonista è quello di non essere capito: Roberto è un uomo certamente molto colto, ma non è chiaro se l’incomprensione sia dovuta alla sua genialità o alla sua incapacità di trasmettere qualcosa con la sua arte. La sua incapacità di sbarcare il lunario gli crea numerose frizioni in famiglia e la sua unica occasione di riscatto è, appunto, la vendita della sua ultima opera, nel corso di uno scoppiettante weekend”.
Quella di Roberto è la sventura della maggior parte degli uomini: il non essere capiti.
Anche quando si viene osannati dalla società, ci sarà sempre l’equivoco che la gente ami più l’avatar che ne rappresenta il successo economico piuttosto che la persona con i suoi valori.
C’è allora spazio solo per gli stereotipi, le logiche di marca e per il dio denaro? Nessuno spazio dunque all’affermazione di sé stessi. Di qui, il conformismo al sistema imperante delle convenzioni sociali dei vari personaggi che orbitano attorno al protagonista: la solitudine di certi ambienti finti, il vuoto esistenziale dei beni materiali come proiezioni dei veri bisogni che non possono sostituire il calore di una famiglia, sebbene imperfetta.
“I tempi teatrali sono concitati, da non lasciar spazio a riflessioni di sorta, che potranno emergere soltanto in un secondo momento, nonostante i molti temi toccati e l’agrodolce di fondo”.
Caratteristica quest’ultima già presente nei precedenti lavori dell’autore, come nella serie “Bruà”, una parodia sul sottobosco del mondo dello spettacolo.
La commedia si sviluppa in un crescendo di equivoci amarcordiani, fatto di incontri inattesi, senza pause, sino alle battute finali in cui il protagonista viene trascinato in un finale decisamente inatteso, sorprendente.
Un’ occasione per riflettere, divertendosi, sulla necessità di una considerazione maggiore del lavoro artistico nella società odierna.