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Lettera ad una professoressa è scritta con grande grazia, è l’incipit di Pier Paolo Pasolini

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Appena laureata nel luglio 1972 mi è stato proposto un incarico a tempo indeterminato a Valdagno presso il Liceo Artistico che avrei dovuto però anche dirigere. Mi sembrava impossibile. L’unica cosa che potessi sperare era una supplenza annuale come mi era già accaduto durante gli studi universitari. Pensai che fosse un impegno difficile per me, una matematica, in un liceo Artistico che avrei dovuto anche dirigere. Ci ho pensato un po’ su e poi ho accettato: è stata un’esperienza strepitosa, ho mantenuto per intero l’insegnamento che ho sempre vissuto come una passione.
Pensai subito di impostare un lavoro non separato dall’insieme delle materie scolastiche (per tre quarti relative a materie artistiche). C’erano tutte le condizioni per provare a costruire un percorso didattico forte e inedito. Un gruppo di insegnanti motivati e appassionati. Un istituto “in stato nascente” e dunque da costruire e a cui dare un’impronta che durasse nel tempo.
Devo dire subito che oggi non sarebbe possibile realizzare questa esperienza, nel contesto odierno in cui la scuola non è un diritto per tutti e non è al centro dell’impegno delle istituzioni della nostra Repubblica come prevede la Costituzione.
Quelli del 1968 e seguenti sono gli anni, forse i più ricchi di idee innovative che irrompono anche nella scuola travolta dalla messa in discussione del pilastro dell’autorità su cui era fondata. Naturalmente non tutto era e fu positivo ma è innegabile che la scuola fu attraversata da inedite vitalità.
Pensiamo a Don Lorenzo Milano che muore nel 1967 ma il suo “Lettera a una professoressa”, scritto insieme ai ragazzi della scuola di Barbiana, sigilla la sua positiva eredità. Il libro non riceve una favorevole accoglienza. Un’unica eccezione illustre, quella di Pier Paolo Pasolini in un’intervista TV.
… Lettera ad una professoressa è scritta con grande grazia, grande precisione, … … con grande spirito, quasi come un libro umoristico, fa ridere e nello stesso tempo, immediatamente dopo aver riso, viene un nodo alla gola, un groppo alla gola, addirittura le lacrime agli occhi, tanta è la precisione e la verità del problema che si pone, il problema della scuola italiana. Oltretutto c’è anche coscienza stilistica, perché vi è contenuta una delle più straordinarie definizioni di quello che deve essere la poesia: un odio e un senso di vendetta verso gli altri che – una volta approfondito e liberato – diventa amore. Dunque di “Lettera ad una professoressa” devo dire tutto il bene possibile, non mi è mai capitato di essere così entusiasta di qualcosa e di sentirmi obbligato e costretto a dire agli altri: leggetelo.
È un libro che riguarda la scuola, nello specifico, ma nella realtà riguarda la società italiana, l’attualità della vita italiana”.
Soltanto dopo la morte del priore il libro diventa un caso letterario e non solo, “Lettera a una professoressa” diviene così simbolo di cambiamento per una scuola veramente per tutti.
Quando arrivai al liceo artistico nel 1972 era aperta una grande discussione sulla scuola che portò nel maggio 1974 ai decreti delegati e agli organi collegiali di gestione che, per le scuole superiori vedevano la partecipazione oltre che dei genitori anche degli studenti (con elezione dei rappresentanti).
Un periodo di passioni, dunque.
Agli studenti proponemmo una sfida a partire dalla domanda delle domande che in genere pongono, ancora oggi (se pur con meno intensità): “A che cosa serve la matematica?”; la domanda nasconde anche la risposta: non serve … “ Volevamo insieme rispondere che serve e spiegare perchè. Nacque un programma “sperimentale” per far emergere le connessioni tra la scienza, in particolare la matematica, e le diverse forme artistiche e di come ci fossero influenze reciproche nei loro sviluppi.
Naturalmente il patto con loro prevedeva anche un impegno “straordinario” per imparare le cose fondamentali del programma! Proponevo loro una sfida da affrontare insieme: lo era anche per me.
Toccai con mano che la relazione tra insegnante e allievo/allieva, se positiva, è a doppio senso (biunivoca si dice in matematica).
Scoprimmo insieme, andando avanti rispondendo ad altri interrogativi che la matematica non nasce solo per i “geni” (che ci sono sempre stati e ci sono) ma la sua nascita e il suo sviluppo è legata a delle necessità: misurare contare costruire comunicare … … e ad alcune attività umane come coltivare la terra, cacciare, commerciare e soprattutto conoscere, ricercare, creare.
È così che nascono la geometria (geo-metria, misura della terra, teoria delle forme; lo Spazio), e l’aritmetica (contare le cose, teoria dei numeri; scandire il Tempo). Abbiamo imparato che la matematica è una scienza dinamica: la scoperta del numero zero ci ha fatto pensare a quanta genialità c’è nel fatto che con 21 lettere (o 24-26 a seconda della lingua) si possono scrivere infinite parole e con solo dieci “cifre” tutti gli infiniti numeri. Non sono riuscita forse a far nascere una passione per la matematica ma di certo una consapevolezza che senza di essa anche le arti, tutte le arti non avrebbero avuto sviluppi differenti in ogni epoca storica. Che i grandi scienziati erano anche artisti filosofi matematici così come i grandi poeti. Abbiamo lavorato su due esempi: Leonardo Da Vinci, Dante Alighieri. E questo succede sempre anche ai nostri giorni. Personalmente ho imparato moltissimo da colleghi che hanno avuto la pazienza di aiutarmi soprattutto a capire che anche i matematici potevano accostarsi alle arti; dalle studentesse e dagli studenti che mi hanno insegnato i fondamenti delle arti figurative.
Guardo a quel periodo come quello che ha fatto germogliare, negli anni successivi, cambiamenti importanti nella vita di tutti (nei rapporti interpersonali, nella famiglia, nella scuola, nella politica, nel lavoro…) ma anche profonde delusioni.
Un decennio, quello degli anni ’70, importante per i cambiamenti politici, culturali, sociali e legislativi.
Anche molto doloroso perchè alle spinte di rinnovamento dei movimenti del 1968 iniziano le stragi fasciste a partire da Piazza Fontana 1969, i treni, Piazza della Loggia …fino alla stazione di Bologna; le Brigate Rosse che disseminano il paese di delitti fino al sequestro dell’On. Aldo Moro e al suo assassinio dopo 55 giorni di prigionia; la sua scorta sterminata il giorno del sequestro.
Un periodo indimenticabile e che ci insegna ancora molte cose.

Dal testo pubblicato nel libro per i 50 anni del liceo artistico di Valdagno 2022


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