L’articolo 21 della Costituzione è il cardine attorno al quale si snoda la sentenza con cui la giudice Silvia Albano ha rigettato la richiesta di danni del Ministro Gennaro Sangiuliano nei confronti dello scrittore Roberto Saviano. In quattro pagine è riassunto lo spirito della libertà di stampa e di critica garantite da quell’articolo della Costituzione. Tutto cominciò a ottobre 2018, in un mese che, come tanti altri, fu caratterizzato da un assalto politico alle nomine Rai. Gennaro Sangiuliano divenne direttore del Tg2 e Saviano scrisse sui suoi profili social: “Peggio non si poteva. Vicedirettore del Tg1 con Berlusconi, galoppino di Mario Landolfi, Italo Bocchino, Nicola Cosentino, Amedeo Laboccetta. E ora la promozione: con il Governo del cambiamento, al Sud, la società incivile non perde posizioni, anzi”. Termini “aspri” come ha riconosciuto la stessa giudice del Tribunale di Roma, autrice della sentenza pubblicata il 29 aprile, ma comunque contenenti una critica assicurata dalla Costituzione. Si legge infatti nel provvedimento che la richiesta di risarcimento di Sangiuliano “deve essere rigettata in quanto i post pubblicati nei social network… costituiscono legittima espressione del diritto di critica garantito dall’articolo 21 della Costituzione, pilastro dello stato democratico e della effettiva possibilità per il popolo di esercitare la propria sovranità anche in ordine al controllo del potere politico in tutte le sue manifestazioni”. E’ un richiamo alla realtà, un assist fondamentale all’agibilità dell’informazione in Italia, la prova evidente che è prassi colpire i giornalisti con azioni legali infondate pur di bloccare la libera critica e, sempre più spesso, il diritto dei cittadini ad essere informati. Prova ne è un altro passaggio della stessa sentenza. Questo: “Il fatto che il convenuto abbia ritenuto la nomina quale direttore del Tg2 dell’attore (Gennaro Sangiuliano ndc) discendente dalla vicinanza dello stesso ad esponenti politici indagati nel corso di diverse inchieste sulla criminalità organizzata, non può considerarsi un fatto falso”. Insomma Sangiuliano sapeva che quanto scritto da Saviano era innegabile e tuttavia ha agito ugualmente con una richiesta risarcitoria, affermando fosse stata lesa la sua dignità. Anche sulla Rai e relativa lottizzazione delle nomine c’è poco da eccepire. Lo scrittore ha avuto ragione pure sull’uso del termine “galoppino” attribuito all’attuale ministro, vocabolo sferzante, certo, ma è un fatto che Sangiuliano aveva rapporti di vicinanza con esponenti politici di rilievo. Infine (ma non per questo meno rilevante) non si può credere che i post di Roberto Saviano sulla presunta parte offesa ne abbiano effettivamente danneggiato l’immagine né la carriera. In fondo è stato direttore del secondo telegiornale pubblico del Paese e poi è diventato pure Ministro.
No, Saviano non ferma le carriere.