Ambientata a Milano, l’opera del regista di origine campana, racconta dell’amore di Riki e Luca (Michele Costabile e Jacopo Costantini), spezzato dalla violenza omofoba di un gruppo di bulli della periferia milanese. Nessun intento didascalico viene veicolato nel racconto, che procede per flashback e analisi di interni borghesi, vissuti dai protagonisti come una sorta di prigione da cui è impossibile fuggire, e che, inevitabilmente, diventano metafora di un mondo che ancora fatica a concepire una realtà diversa da quella consolidata e considerata come scontata.
L’alternarsi dei corpi liberati da ogni pregiudizio di Riki e Luca con il muoversi ingessato e costretto dei genitori del secondo ricorda il cinema dello “scandalo ricercato” del primo Fassbinder, ad evidenziare una distanza culturale e generazionale impossibile da colmare senza estreme sofferenze. Il corpo martoriato e privo di vita di Luca diventa presenza cristologica priva di ogni pudore, nel prefinale dell’obitorio nel quale Riki lo abbraccia nudo prima di darsi la morte accanto a lui. La calda freddezza della sequenza e l’estremo sentimento di amore-morte che vi si sviluppa ricordano il Dreyer di “Ordet”, in una ricerca dell’assoluto visivo che diventa pura luce di un aldilà già pronto ad accogliere chi da questo mondo, privo di ogni anelito di vita, è stato rifiutato ed espulso. Le musiche sincopate e onomatopeiche di Teho Teardo, che accompagnano incessantemente ogni variazione della narrazione, precipitano le immagini in un necessario abisso melodrammatico che non può non ricordare il disperante movimento scenico de “Il gruppo di famiglia in un interno” di Luchino Visconti.
L’estrema solitudine dei due giovani fa il paio con quella delle figure femminili, la madre e la zia di Riki, vittime di una realtà più grande di loro, quella borghese, ed impossibilitate ad uscirne perchè prive di una alternativa che non le releghi ancora più fortemente ai margini di una esistenza che non ammette cambiamenti che non siano ancora più inaccettabili. La ricerca della felicità è la ragione ultima di questo sorprendente film di Pasquale Marrazzo, che trova l’assoluto dei sentimenti anche dentro una Chiesa, ordinaria e magica al contempo, che somiglia tanto a quella in cui Abel Ferrara regala un anelito di vita al disperato protagonista del suo “Il cattivo tenente”. E’ la mutazione di prospettiva e il continuo spiazzamento dello spettatore, la modalità narrativa che il regista campano ha scelto per una storia che si muove sempre sul filo del desiderio e della sua negazione. Il miglior modo di raccontare l’irraccontabile, come per il finale, con i due giovani protagonisti immersi, serenamente, dentro un parco che potrebbe anche essere il loro Paradiso, finalmente raggiunto.