Capaci, 23 maggio 1992, cinquecento chili di tritolo uccisero il giudice Giovanni Falcone, sua moglie e collega Francesca Morvillo, gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, ferendo ventitré persone compresi gli altri agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza. La strage fu per mano della mafia, tra i mandanti: Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco e l’ultimo arrestato Matteo Messina Denaro.
Di quel sabato milanese ricordo ogni minuto. Apprendemmo la notizia rientrando in albergo, la tv stava trasmettendo l’edizione straordinaria del Tg1 condotto da Angela Buttiglione. Il giorno prima era andato in onda l’ultima puntata di un nostro programma Il circolo delle 12, Rai3, ero insieme ad alcuni colleghi: Roberto Costa, il capo, Sergio Sau, Piera Rolandi, la prima giornalista donna a condurre un tg, amici indimenticabili che ci hanno lasciato, Lino De Seriis e Italo Gagliano. Ci sembrava impossibile che il fatto fosse accaduto, invece era tutto scritto, lo aveva detto Tommaso Buscetta al giudice quando questi gli chiese di fare i nomi dei politici mafiosi: Dottor Falcone, chi deve morire prima, lei o io? Don Masino morì otto anni dopo, nel 2000, per malattia.
Dopo le prime immagini della strage trasmesse dalla Rai di Palermo, commentate da Salvatore Cusimano, la conduttrice annunciò l’editoriale di Enzo Biagi: Il profilo di Giovanni Falcone. Quelle parole andrebbero ascoltate nuovamente, soprattutto in occasione dell’anniversario che con il trascorrere degli anni è diventato sempre più il giorno della rettorica più che della Legalità. Si spengono i microfoni, si smonta il palco e nel Paese tutto torna esattamente come prima: collusione, corruzione, peculato, pizzo e chi più ne ha più ne metta.
Disse Biagi: L’orologio di Francesca Morvillo, coniugata Falcone, segna le 18.08, è anche un’ora della nostra triste storia. La mafia ha vinto, ha dimostrato che quando vuole colpisce e non dimentica (…) Adesso ascoltiamo le solite parole. Perché sbigottimento? Non è stato così anche per il generale Dalla Chiesa? Quando lo videro solo spararono. C’è un vuoto di potere, il giudice Falcone, uno come noi, con i problemi e i fallimenti di tutti ma che serviva lealmente lo Stato, ha perduto l’ultima battaglia. Era consapevole che Cosa nostra sapeva aspettare e dopo l’uccisione di Salvo Lima la tensione si era fatta anche più grave. Sconfitto nella carriera con i sospetti e le rivalità non aveva dalla sua la forza del potere (…) Ed ora via con il solito rituale.
Ho intervistato per Radio Rai Giovanni Falcone nella seconda metà degli anni Ottanta, durante la primavera di Palermo, insieme al sindaco di Palermo Leoluca Orlando, il suo vice, ex magistrato Aldo Rizzo che aveva fatto parte della Commissione parlamentare che aveva indagato sulla P2 di Licio Gelli, il sindaco di Bologna Renzo Imbeni e padre Ennio Pintacuda. In quei giorni era stato ucciso un imprenditore siciliano per mano di Totò Riina e Salvatore Biondino, perché si era opposto alla spartizione di appalti con società mafiose. Le parole di Falcone crearono inevitabilmente una forte polemica, denunciò, ancora una volta, l’assenza dello Stato nella lotta alla mafia e la presenza in Sicilia di politici che appartenevano alla criminalità organizzata: Cosa nostra ha la forza di una Chiesa e le sue azioni sono frutto di una ideologia, di una sub cultura. La trasmissione si concluse con queste parole: Dobbiamo pensare alla mafia come un grande potere finanziario e politico. Io dubito che ci sia la volontà di combattere questo fenomeno. Da allora, al di là di arresti eccellenti, nella sostanza, cos’è cambiato?
Mi ha colpito, in questo 31° anniversario della strage, il fatto che più o meno tutti quelli che sono intervenuti nelle varie manifestazioni su e già per l’Italia e interviste nei tg, hanno ripetuto le parole di Giovanni Falcone: La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà una fine. Escludendo la seconda parte che è ben più significativa: Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo l’eroismo dagli inermi cittadini ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.
Il sacrificio di Giovanni Falcone e di tutti quelli caduti per mano della mafia, non sarà vano solo quando la Legalità sarà presente nel nostro cuore e ci accompagnerà nella vita come uno dei valori più importanti che la famiglia, prima di tutto, poi la scuola, devono dare ai giovani, perché è la Cultura l’arma più potente per combattere le mafie.