Il movimento “Donna, Vita, Libertà” ha avuto inizio a metà settembre dopo che due giornaliste coraggiose hanno diffuso la notizia dell’uccisione di Mahsa (Jina) Amini, la ragazza curda di passaggio a Teheran con la famiglia, arrestata per portare male l’hijab e aggredita nella centrale della polizia (in)morale e trasportata in ospedale in fin di vita, dove è deceduta tre giorni dopo. A dare la notizia di questa brutale aggressione e la morte di Mahsa (Jina) Amini è stata Niloufar Hamedi, giornalista del quotidiano Shargh di Teheran.
Tre giorni dopo Elahe Mohammadi, giornalista del quotidiano Hammihan con un reportage dalla città curda di Saghez, sulla cerimonia di sepoltura di Mahsa (Jina) Amini ha infiammato le strade dell’Iran. Manifestazioni che per settimane e settimane si sono svolte in oltre 140 città, piccole e grandi, dando vita al movimento ormai noto in tutto il mondo come con lo slogan “Donna, Vita, Libertà”. Il nome di Mahsa è ormai un grido di libertà che ripetuto in molte strade del mondo.
Niloufar e Elahe sono state arrestate pochi giorni dopo la pubblicazione dei loro reportage e sono ancora in carcere. Ora, dopo otto mesi, dovrebbero essere processate a porte chiuse dalla sezione 15 del Tribunale della Rivoluzione di Teheran, presieduto dal famigerato giudice Abolghassem Salavati. Molte condanne a morte e lunghe pene detentive contro gli oppositori del regime degli ayatollah portano la sua firma. Il nome Abolghassem Salavati è stato inserito nell’elenco delle persone che violano i diritti umani da molti paesi, tra i quali i 27 paesi dell’Unione Europea.
Elahe Mohammadi ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Ivrea, mentre Niloufar Hamedi è cittadina onoraria di Montaldo torinese. Tutte e due le giornaliste figurano tra i 100 personaggi influenti del 2022, secondo la rivista americana Time. Le due giornaliste verranno processate separatamente nei giorni 29 e 30 maggio, prima Elahe Mohammadi e il giorno dopo Niloufar Hamedi. Le accuse per entrambe sono le stesse: pubblicazione di notizie che hanno messo a rischio la sicurezza dello Stato, propaganda contro il regime e collaborazione con governi ostili.
Decine di giornalisti. che vivono e lavorano in Iran, hanno chiesto che i processi contro le due colleghe siano a porte aperte e alla presenza dei media. Richiesta che fino a questo momento non ha ricevuto risposta. Anche la Federazione Internazionale dei Giornalisti (FIJ) ha chiesto che il processo contro le due giornaliste sia a porte aperte e alla presenza di media iraniani ed internazionali.
Uno dei dirigenti del sindacato dei giornalisti iraniani (Anjoman Senfi Rouznamehnegara Iran), chiuso per ordine dell’Autorita’ Giudiziaria il 5 agosto del 2009, si chiede come mai le associazioni che in Italia rappresentano i giornalisti (Ordine dei Giornalisti e FNSI) non abbiamo anche loro espresso in forma attiva il loro sostegno alle due colleghe. Una domanda legittima che giro a Carlo Bartoli, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e a Vittorio Di Trapani, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Ho anche una proposta concreta: consegnare alle due giornaliste la tessera di iscrizione honoris causa all’Ordine nazionale. Di recente l’Ordine regionale del Piemonte ha rilasciato ad un’altra giornalista iraniana in carcere, Sepideh Gholian, la sua tessera honoris causa. La tessera fu consegnata in occasione della presentazione all’ultima Fiera del Libro di Torino, della traduzione in italiano delle memorie dal carcere di Sepideh Gholian. Niloufar Hamedi e Elahe Mohammadi hanno già ricevuto il premio per la libertà di stampa delle Nazioni Unite e quella dell’Associazione dei Giornalisti del Canada, come il premio della Fondazione Nieman dell’Università di Harvard.