E’ accaduto una volta, può accadere ancora. C’è stato un regime, quello fascista, che ha impedito e represso con la violenza qualunque voce critica. E tuttavia il silenzio non fu raggiunto. Oggi sono 99 anni esatti dal giorno in cui Giacomo Matteotti denunciò alla Camera i brogli elettorali del fascismo. Era il 30 maggio del 1924.
Le elezioni c’erano state ad aprile 1924, caratterizzate brogli e violenze da parte del partito fascista. Matteotti, da deputato del Partito Socialista pronunciò queste frasi: “Noi deploriamo che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. (…) Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità”. Fu la sua condanna a morte. Pochissimi giorni dopo verrà rapito sul lungotevere Arnaldo da Brescia e assassinato dai fascisti. L’ordine venne da Benito Mussolini per mettere a tacere le sue denunce di brogli elettorali attuati dalla dittatura nelle elezioni del 6 aprile 1924 e le sue indagini sulla corruzione del governo. Quest’ultima fu una causa determinante. Giacomo Matteotti non era “solo” uno scomodo oppositore politico ma un uomo che aveva trovato carte utili a contestare una forma di corruzione diffusa e impunita tra i gerarchi, la burocrazia e l’apparato vicinissimo a Mussolini, come fu poi ricostruito da diversi storici. E adesso è certo che quella perniciosa malattia italica chiamata corruzione contaminò ampiamente il regime fascista fatto passare per “esemplare” dalla retorica di destra anche quando era ormai finito.