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Elezioni in Turchia: delusione e incertezze nel sud-est del paese

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Il risultato è ancora in bilico, ma la delusione è già arrivata. Nell’estremo sud-orientale della Turchia, fra Van e Ağrı, per molte persone la notizia del ballottaggio suona come una sconfitta: nelle sedi dello Yeşil Sol Parti, partito a cui si sono unite per queste elezioni le forze filo-curde dell’Hdp, il sentimento prevalente è quello della rassegnazione, se non del pessimismo amaro.

«In pratica, stiamo già facendo la conta di chi andrà in carcere nei prossimi mesi», mormorano alcuni, paventando una stretta ulteriore da parte di Erdoğan nei confronti del movimento politico (il cofondatore dell’Hdp Selahattin Demirtaş è detenuto da ormai cinque anni, e non gli è stato concesso di correre come candidato). «Non ho idea di cosa fare, probabilmente cercherò di andarmene dalla Turchia», ipotizzano altri a caldo, mentre allo scotto per i risultati si unisce la stanchezza di una notte passata in bianco a conteggiare le schede.

D’altronde, per l’opposizione è difficile essere ottimisti: con le votazioni del 14 maggio il presidente in carica ha ottenuto il 49% delle preferenze, staccando di oltre 4 punti lo sfidante Kemal Kılıçdaroğlu del partito repubblicano-kemalista Chp (che si è presentato con una coalizione che riunisce sei differenti organizzazioni politiche); troppo poco per vincere al primo turno, ma sufficiente per far credere che una vittoria al ballottaggio possa essere quasi una formalità: è molto probabile, infatti, che i voti del terzo candidato Sinan Oğan (oltre il 5%) vadano a Erdoğan. All’assemblea nazionale, inoltre, l’Akp, il partito del presidente, assieme agli alleati nazionalisti del Mhp si è assicurato la maggioranza con 322 seggi su 600.

Mobilitazione e autocritica

A Van l’atmosfera di mobilitazione collettiva che si respirava prima del voto sembra ora rientrata in un’inquietudine più privata, in un senso di incertezza personale. Qui, come in generale nelle città della costa occidentale e nel sud-est a maggioranza curda, Kılıçdaroğlu è risultato in netto vantaggio (62,2%) e nel pomeriggio di sabato, con la chiusura della campagna elettorale, decine di migliaia di persone si erano riversate per le strade sventolando bandiere dello Yeşil Sol Parti e agitando qualche fumogeno. Abbarbicati sul monumento che si trova al centro della grossa rotonda d’incrocio fra i viali Cumhuriyet e Ferit Melen, monumento dedicato al tipico pesce del lago di Van che durante la deposizione delle uova nuota controcorrente, giovani e meno giovani speravano anch’essi in un’inversione di rotta, che non è arrivata.

«Dobbiamo probabilmente migliorare la nostra comunicazione», affermano i dirigenti delle forze filo-curde in un tentativo di autocritica. «Siamo convinti che molte persone, soprattutto nelle zone rurali, non abbiano ben compreso il fatto che per le presidenziali abbiamo sostenuto il candidato del Chp e l’assenza della sigla Hdp sulle liste ha disorientato tanti». Difficile capire, però, se queste difficoltà abbiano inciso in maniera significativa sul voto finale.

Quello che è certo è che, fra Van e Ağrı, l’attività politica deve tener conto di dinamiche diverse da altre zone del paese, soprattutto i grandi centri dell’ovest. Non va dimenticato che, in seguito alle elezioni municipali del 2019, molti sindaci dell’Hdp regolarmente eletti sono stati rimossi con un “colpo di mano” da parte del governo che al loro posto ha nominato dei “commissari speciali” (kayyum). Ciò ha di sicuro generato un maggiore malcontento ma, è lecito supporre, anche un’ulteriore sfiducia nei meccanismi democratici. Inoltre, Van e Ağrı sono fra le province più povere e meno sviluppate della Turchia (rispettivamente al terzultimo e all’ultimo posto per Pil pro capite), con una grossa fetta della popolazione impegnata nel settore agricolo: fattori, questi, che come succede per l’“Anatolia profonda” delle zone centrali tendono a favorire la retorica dirigista e “filo-islamica” del partito di governo (il sindaco di Ağrı per esempio, è stato eletto con l’Akp).

«Abbiamo vinto noi ma alla fine vincerà Erdoğan», dice il presidente della sezione locale del Chp di Ağrı Nihat Aslan, commentando con una formula paradossale la notizia del ballottaggio. La maggioranza del paese, secondo lui, sostiene convintamente Kılıçdaroğlu ma l’Akp (partito al quale apparteneva lo stesso Aslan, prima di allontanarsene per via della “troppa corruzione”) controlla i media e parte delle istituzioni, per cui sono sufficienti poche mosse per far pendere i risultati a proprio favore.

«Qui nella provincia il partito repubblicano era poco presente fino a un paio di anni fa. Solo ora siamo riusciti a essere più attivi sul territorio e stiamo raccogliendo l’interesse soprattutto dei giovani, che desiderano un cambiamento» continua Aslan.

Anche ad Ağrı in effetti, nonostante le dinamiche segnate da povertà e scarsa urbanizzazione, in questa tornata l’opposizione a Erdoğan ha trionfato: Kılıçdaroğlu si è aggiudicato il 65,8%, un numero ancora più alto che a Van.

Maggioranza silenziosa?

Nonostante il Chp abbia presentato ieri ricorso al Consiglio Elettorale Supremo per un riconteggio del voto in tutto il paese, nella regione le elezioni sembrano comunque essersi svolte in maniera generalmente regolare. Nella giornata di domenica la città di Van è stata massicciamente presidiata dalle forze militari che erano presenti per le strade anche con mezzi antisommossa, cosa che viene ripetutamente criticata dai partiti filocurdi perché si tratta di una situazione che può essere percepita con facilità come “intimidatoria” dai propri sostenitori. Tuttavia, non è stato registrato nessun incidente e nella notte gli agenti di sicurezza hanno sgombrate vie e piazze così come le avevano occupate durante il giorno. Ad Ağrı, invece, c’era una presenza quasi esclusiva della polizia, limitata ai seggi.

Paradossalmente, chi non pare festeggiare in maniera pubblica ed eclatante è proprio il partito uscito favorito del primo turno: alla sede locale dell’Akp c’è poca disponibilità di discutere o di commentare le elezioni, almeno con chi “viene da fuori”. Il candidato (non eletto) Mehmet Ali̇ Bi̇lgi̇li̇, attorniato da alcune persone piuttosto giovani che a tratti osservano divertite, sostiene che le nostre domande su quali politiche metterà in campo l’Akp nel futuro e sull’andamento del voto nelle zone terremotate sono “provocazioni” cui non intende rispondere. «Non fidarti, secondo me sono delle spie», gli suggerisce apertamente una funzionaria al suo fianco.

È il ritratto forse di una “maggioranza” della società che nel sud-est curdo è più silenziosa che altrove ma che, come ha dimostrato il voto, resta ben radicata sul territorio e per nulla disposta a mettere in discussione il proprio potere.

(da Osservatorio Balcani Caucaso)


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