E’ stato il 3 maggio anche in Iran, dove la mancanza di libertà di stampa è totale

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La Giornata Mondiale di Libertà di Stampa che si celebra ogni anno, è un giorno che deve servire a riflettere sulla libertà d’informazione. In molti paesi, come nella Repubblica Islamica dell’Iran è invece una giornata che serve a ricordare tutti coloro che per la mancanza totale della libertà di stampa sono in carcere, in attesa di giudizio o di un lavoro, in quanto proprio nel tentativo di informare lo hanno perso.
Quest’anno uno dei più significativi premi sulla libertà di informazione, il premio Guillermo Cano della UNESCO è andato a tre giornaliste iraniane in carcere: Niloufar Hamedi, Elahe Mohammadi e Narges Mohammadi. Quest’ultima, Narges Mohammadi, è anche candidata al premio Nobel per la Pace 2023. Quest’anno tra i candidati figura anche il nome di un’altra giornalista iraniana, Masih Alinejad.
Narges Mohammadi, nominata nel 2022 dalla britannica BBC come una delle cento donne che si sono distinte per le loro attività nel mondo, nel 2016 è stata condannata a 16 anni di carcere, ma rilasciata su cauzione nell’ottobre 2020 per essere nuovamente arrestata, processata e condannata ad altri due anni e messo di reclusione oltre che a 80 frustate, con la solita accusa di “propaganda anti regime”.
Masih Alinejad vive negli Stati Uniti, dove nel luglio 2021 FBI americana ha smantellato un complotto ed arrestato un certo Khalid Mehdiyev, armata di kalashinkov, che voleva rapire la giornalista per trasferirla in Iran, dove avrebbe fatto la stessa fine di un altro giornalista, Rouhollah Zam, rapito a Baghdad nell’ottobre 2019 e impiccato a Teheran , dopo un processo farsa, il 12 dicembre 2020.
Le altre due giornaliste che assieme a Narges Mohammadi hanno ricevuto il Premio UNICEF dello scorso 3 maggio, sono state arrestate nel mese di settembre. Uno di loro, Niloufar Hamedi è stata la prima a pubblicare la notizia della morte di Mahsa-Jina Amini, la ragazza curda arresta a Teheran lo scorso 16 settembre, dalla cosiddetta “polizia morale” e deceduta tre giorni dopo in ospedale per colpi alla testa durante l’arresto. L’altra giornalista, Elahe Mohammad è invece la giornalista che con il suo reportage sulla cerimonia di sepoltura di Mahsa-Jina Aimini, nel cimitero della città curda di Sagghez, scatenò la rivoluzione che ancora oggi, malgrado oltre 500 morti e 20.000 arresti, il regime degli Ayatollah non è riuscito a domare. I nomi di queste due giornaliste figuran nell’elenco delle 100 persone più influenti del 2022 della rivista americanaTime.
Il 3 maggio, l’organizzazione francese Reporters sans frontières (RFS) ha pubblicato il suo rapporto annuale sulla situazione della libertà di stampa nel mondo. La Repubblica Islamica dell’Iran su 180 paese monitorati dall’organizzazione francese, si trova al 177° posto su 180 paesi. La situazione è peggiore solo in nel Vietnam. Cina e nella Corea del Nord. Sempre secondo RFS, l’Iran con 19 giornalisti attualmente in carcere, figura tra i paesi considerati “grandi prigioni dei giornalisti” in compagnia di il Myanmar, la Siria, la Turchia, l’Arabia Saudita e l’Egitto.
Dallo scorso mese di settembre, con l’inizio della rivoluzione “Donna, Vita, Libertà”, secondo la Federazione Internazionale dei Giornalisti (FIJ), sono stati arrestati oltre 100 giornalisti, molti dei quali rilasciati dietro cauzione e in attesa di giudizio. Le accuse contro questi giornalisti non sono diverse da quelle formulate lo scorso 2 maggio contro Niloufar Mohammadi e Elahe Ebrahimi: “collaborazione con governi nemici”, “propaganda anti regime” e “diffusione di notizie che minacciano la sicurezza dello Stato”.
Lo scorso 3 maggio, mentre in molti paesi si parlava della necessità di rendere l’informazione e i mezzi di comunicazione più liberi, in Iran veniva arrestato nuovamente uno dei decani del giornalismo indipendente: Keyvan Samimi. Keyvan Samimi, 74 anni, era stato rilasciato il 26 gennaio dopo due anni di reclusione. Questo giornalista era stato arrestato una prima volta nel 2009 e condannato a 6 anni di carcere.


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