Questo 27 maggio don Milani avrebbe compiuto cento anni. Se ne andò nel 1967, a soli quarantaquattro, e da allora tutto è cambiato: spesso in peggio, raramente in meglio. A rendergli omaggio saranno presenti il cardinal Zuppi, incaricato da papa Francesco per una delicatissima missione di pace in Ucraina, e il presidente Mattarella, a dimostrazione di quanto abbia ragione Rosy Bindi, presidente del comitato organizzativo, quando afferma, in un’intervista al Fatto Quotidiano, che la loro partecipazione “conferma che è un patrimonio della Chiesa, della società e dell’intero Paese”.
Quella di don Milani, del resto, è una profezia ancora attuale, l’intuizione di una scuola dalla parte degli ultimi e degli esclusi, la grandezza di un personaggio complesso, controverso e difficile da etichettare proprio perché refrattario a ogni forma di obbedienza nonché convinto che il Vangelo dovesse prevalere su ogni convenienza e calcolo politico.
Gli rendiamo dunque omaggio, a nostra volta, atei e credenti, in nome di un principio di umanità, del senso di pienezza che ci trasmette la sua storia, diremmo quasi la sua parabola, e della meraviglia della sua testimonianza terrena, così ricca di passione civile, di impegno politico e di attenzione per chi è nato indietro.
Don Milani non era lassista, tutt’altro. Promuoveva l’inclusione, lo studio, l’impegno, la partecipazione collettiva, la cooperazione e la collaborazione, in netto contrasto sia con il principio dell’esclusione troppo spesso portato avanti ai suoi tempi sia con l’individualismo sfrenato che caratterizza i nostri.
Era una persona seria, scrupolosa, colma d’amore per il prossimo, dotata di un entusiasmo senza eguali per la vita e innamorato, più che mai, dell’idea secondo cui “il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”.
Cinquantaquattro anni fa abbiamo perso un prete ma, soprattutto, un uomo eccezionale, unico nel suo genere, forse irripetibile. Un uomo che non venne capito allora e non sarebbe stato capito adesso, salvo lasciare una traccia indelebile nelle nostre vite, come spesso capita ai geni, ai rivoluzionari, ai contestatori e a tutti coloro che non accettano lo stato delle cose, spesso talmente ingiusto che si fa persino fatica a descriverlo a parole.
(Nella foto il cardinal Zuppi)
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