Come era facile prevedere, l’amministratore delegato della Rai Carlo Fuortes ha annunciato le dimissioni, sottolineando che non può condividere una linea editoriale che non considera nell’interesse dell’azienda. Magari, l’ex Ad potrebbe spiegare qualcosa di più. La trasparenza è la premessa per una buona vitacivile.
Tuttavia, non è difficile indovinare ciò che sta succedendo attorno alla conclamata maggiore azienda culturale italiana, oggetto indiscreto del desiderio di gran parte del ceto politico.
La destra al governo, del resto super rappresentata negli spazi e nei tempi dei telegiornali, intende sferrare l’attacco finale al servizio pubblico, occupandone numerosi scranni e organigrammi. L’obiettivo è duplice: acquisire postazioni di potere e, allo stesso tempo, tentare di imporre un diverso punto di vista alla cultura di massa secondo, i riti e gli stilemi più reazionari. Sui risultati di tale cavalcata nera la storia dirà.
Ciò che è già ora chiarissimo, però, è l’aggiramento della Costituzione, essendosi inferto il colpo di grazia al vertice (complice) dell’azienda attraverso un decreto leggeapparentemente rivolto a regolare l’età pensionabile dei sovrintendenti delle Fondazioni lirico-sinfoniche. Non c’è bisogno di un giallista per leggere il sottotesto: Fuortes è dirottato al Teatro San Carlo di Napoli in luogo dell’attuale responsabile Lissner, reo di aver compiuto settant’anni.
Un pasticciaccio bruttissimo, che illumina di lampi anticipatori di tempesta l’attuale scenario.
Tuttavia, la vicenda riguarda solo parzialmente la Rai. Sta iniziando, per l’ennesima volta, il balletto sulle riforme istituzionali, in cui la Presidente del consiglio vuole coinvolgere le forze di opposizione. La posta in gioco riguarda la cosiddetta Autonomia Differenziata e il ricorso a qualche variante del Presenzialismo.
Purtroppo, la memoria corre alla Commissione bicamerale del 1997., che assopì contrapposizioni e conflitti in materia di conflitto di interessi e di antitrust. Le ferite sanguinano ancora e gli effetti perversi si subiscono ancora.
Ecco, allora, la questione democratica. Se si dovesse imboccare una strada presidenzialista o di premierato senza contrafforti e una adeguata bilancia dei poteri, andremmo dritti verso un Regime, come in Polonia o in Ungheria. Con una magistratura sotto attacco e un universo dell’informazione (già insidiato dal precariato e dalle querele temerarie) controllato sia nella componente privata sia in quella pubblica e con una stampa in crisi, assisteremmo a un vero e proprio golpe. Bianco, magari, ma pur sempre golpe.
Che le opposizioni, per favore, battano un colpo.