Cervelli in fuga dalla Rai

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Lucia Annunziata ha lasciato la Rai, dove negli ultimi anni ha diretto la trasmissione domenicale Mezz’ora in più, interessante per la capacità di offrire spesso notizie di prima mano grazie ad ospiti non ripetitivi e per l’osservanza quasi rigorosa della par condicio. Il tutto con un ragguardevole 10% di share.

Si tratta del secondo abbandono del servizio pubblico da parte della giornalista che mosse i primi passi con il manifesto. Era già successo il 4 maggio del 2004, quando aveva lasciato la prestigiosa carica di presidente, cui era assurta il 13 marzo del 2003. I casi del destino: allora la Annunziata sbatté la porta in polemica con il pacchetto di nomine proposto dal direttore generale Flavio Cattaneo, nel quale spiccava il nome di Giampaolo Rossi, indicato alla guida di Rainet.

E lo stesso Rossi ora è in pole position per salire allo scranno apicale, quello di amministratore delegato, dove siede transitoriamente Roberto Sergio.

La lettera in cui si motiva la scelta di andar via dal vecchio fortilizio ex monopolista è chiara: non si può rimanere se non si condividono non solo idee e operato del governo, bensì proprio le modalità di intervento sulla Rai. Meglio chiudere una lunga storia in un’azienda in cui si sono condotti programmi, si è diretto il Tg3, si è stati presenti come opinionisti in diversi talk, piuttosto che subire bavagli o censure.

In fondo, la vicenda di Fabio Fazio ha avuto un po’ il sapore di un prequel: la Rai non è più la prima scelta.

La perdita di fascino del servizio pubblico non è un problema solo attuale. Viene da lontano, dall’assenza di un progetto adeguato alla complessità tecnologica e ai profondi mutamenti sociali. Tuttavia, l’ultima tornata lottizzatoria ha dato il colpo di grazia. Persino nell’età berlusconiana, pur con gli editti bulgari, il clima aveva un odore meno acre e il diritto di critica era rischioso ma non così impervio come oggi.

Infatti, ciò che sta avvenendo alla Rai segna un passaggio a nord ovest: gli esecrabili vecchi riti della spartizione partitica sono soppiantati dalla voglia esplicita della destra di plasmare a suo uso e consumo l’immaginario collettivo. La maggiore industria culturale del paese è il territorio privilegiato per imporre visioni ed egemonie conservatrici e reazionarie.

Non si capirebbe altrimenti il perché di tanta pervicacia, visto che già il grosso dell’informazione volteggia nel vento governativo.

In verità, la marcia su viale Mazzini rivela velleità superiori alla mera conquista di qualche scranno.

Però -come dimostrano le reazioni politiche e sindacali, nonché la stessa spaccatura in seno al consiglio di amministrazione- la cavalcata non sarà proprio agevole, essendo la preda un apparato figlio di un’antica tradizione e assai vischioso.

I cervelli in fuga ci ammoniscono, comunque, sul mutamento della temperatura e del contesto: il centro di gravità si è appannato e l’attrazione è sempre meno fatale.

In un organigramma a netta prevalenza maschile, una donna si è incaricata di urlare che il re è nudo.

(Nella foto Fabio Fazio in un disegno di Alekos Prete)


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