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3 maggio – I dati amari del dossier di Reporter Senza Frontiere

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Oggi, 3 maggio, Giornata Mondiale della Libertà di Stampa,scatta la pubblicazione da parte dell’organizzazione Reporter Senza Frontiere (RSF) dell’edizione 2023 del World Press Freedom Index, che crea, analizzando il contesto in cui operano i giornalisti, includendo nella sua classifica 180 paesi di tutti i continenti, una utile quanto suggestiva graduatoria che offre anche, attraverso l’uso di colori che vanno dal rassicurante verde all’inquietante marrone, una eloquente fotografia cromatica dello stato della libertà di stampa nel mondo.
Nell’osservare la mappa di RSF, non si può non masticare amaro: complessivamente, su 180 Paesi presi in considerazione , la situazione  valutata “bad” in sette paesi su dieci, a segnalare il persistere e il moltiplicarsi dei pericoli che incombono sul lavoro dei reporter e degli incidenti gravi che seminano la morte tra le fila di un numero inaccettabile di operatori dell’informazione. Se vivi in certi paesi, di fatto, ti ritrovi in un fronte dove non mancano i rischi tra cui finire in galera o sottoterra.
Scendendo più nel dettaglio, abbiamo motivi per rabbrividire: troviamo infatti ben 31 paesi in cui, per i giornalisti, la situazione è “molto seria”, altri 42 in cui è “difficile” e 55 in cui è “problematica”. Se il salto, in questo abisso, da una categoria all’altra può essere repentino, è purtroppo vero che molte nazioni si ritrovano inchiodate da tempo immemorabile al fondo di questa classifica della vergogna. Sono, per l’appunto, i paesi colorati in marrone, che ricoprono gran parte della superficie di regioni turbolente come l’Asia, il Sudamerica, il Medio Oriente e buona parte dell’Africa. L’altro versante della medaglia sono i 52 paesi in cui la situazione risulta almeno “soddisfacente” se non “buona”. È quella parte del mondo che ha recepito l’idea liberale di matrice anglosassone per cui la stampa e’ un organo essenziale della democrazia che va protetto e tutelato affinché possa svolgere il suo benefico operato a favore della società in senso lato.  Non che questa fetta di globo,:dove ritroviamo per lo più Europa e Nordamerica, e paesi anglosassoni come Australia e Nuova Zelanda, sia esente da problemi. Gli inganni posti dalla disinformazione che dilaga negli spazi anche più cool della comunicazione in rete, social compresi, e le intrusioni informatiche sono lì a testimoniare come le garanzie alla libertà di stampa assicurate da questi paesi non rendano il giornalismo immune da abusi o derive populiste.
Il paese che tutela maggiormente la libertà di stampa è la Norvegia, da sette anni costantemente al vertice nella classifica RSF. Il posto piu disgraziato in cui svolgere il mestiere di giornalista, il numero 180 della graduatoria, è invece il regno eremita della Corea del Nord, paese dove non c’è spazio per l’informazione libera e dove ogni pubblicazione o comunicazione è in mano allo stato, dedito incessantemente al culto del leader Kim che Donald Trump definì “uomo razzo”. L’Italia si trova nella parte alta della classifica, ma solo al 41mo posto, dopo paesi come Macedonia, Montenegro e Seychelles. Una beffa, ma anche una conferma di quel che sempre sospettavamo, ossia c’è il conformismo è l’unica maniera per sopravvivere per quei giornalisti italiani che, come tutti, per dirla con Longanesi, tengono famiglia.

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