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Turchia, oltre 150 oppositori di Erdogan arrestati dal 25 aprile. Molti giornalisti

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Sono oltre 150 gli oppositori arrestati nella retata messa in atto all’alba del 25 aprile in Turchia dalla polizia turca in 21 città del sudest anatolico a maggioranza curda; 216 sono i fermi di polizia. Lo ha dichiarato il vicepresidente dell’Ordine degli avvocati di Diyarbakır, Mehdi Özdemir, che ha precisato che l‘operazione non si è conclusa, è ancora in corso”. Continuano infatti, anche in queste ore, le perquisizioni negli uffici di diversi avvocati difensori di esponenti curdi.

“Quella in corso è un’operazione antiterrorismo su vasta scala”, sostengono le autorità turche. Le retate stanno riguardando diversi gruppi professionali, tra loro vi sono giornalisti,avvocati, politici, artisti e rappresentanti di Ong per i diritti umani. Queste operazioni si svolgono a meno di tre settimane da cruciali elezioni presidenziali e parlamentari dall’esito per nulla scontato.

Oggi, altre quattro persone sono state arrestate nella provincia di Tekirdağ, nei distretti di Çorlu e Çerkezköy, a ovest di Istanbul, sempre con l’accusa di “aver fatto propaganda a favore di un’organizzazione terroristica”.

È iniziata così, con una nuova ondata di arresti di massa di oppositori, la campagna elettorale anche nel sudest del paese. Nelle prime ore del mattino di martedì 25 aprile la polizia ha fatto irruzione nelle case di giornalisti, avvocati, politici, artisti e attivisti per i diritti umani, tutti curdi, sequestrandodocumenti, articoli di giornali, libri e computer.

L’operazione si è concentrata principalmente nelle città di Diyarbakır, Batman e Urfa.

Secondo la direzione locale del Partito democratico dei popoli (Hdp) la retata contro 150 esponenti di spicco del movimento curdo è finalizzata allo smantellamento di questa organizzazione politica in particolare nella provincia di Diyarbakır. L’Hdp è accusato di essere il braccio politico delPartito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), un gruppo armato che dal 1984 si batte per l’autonomia del sudest anatolico.

L‘Ordine degli avvocati della principale città a maggioranza curda ha fatto sapere che tra le persone arrestate vi sono anche numerosi avvocati e che ai loro difensori non è stato permesso di visitare i detenuti e di visionare i fascicoli delle indagini.

Tra le vittime della repressione vi sonoalmeno dieci giornalisti, quali Ferhat Çelik, proprietario dell’agenzia Mezopotamya (MA), Mehmet Shah, un suo corrispondente e il redattore Abdurrahman Gök. Arrestati anche Osman Akın, caporedattore del quotidiano Yeni Yaşam, Kadri Esen del settimanale curdo Xwebûn, Beritan Canözer, corrispondente dell’agenzia Jin News e alcuni cameramen e membri del personale amministrativo dell’agenzia Mesopotamia. Tutti accusati di “appartenenza a un’organizzazione terroristica”, ma in realtà sono stati arrestati semplicemente per le loro idee e per i loro scritti.

L’Associazione degli avvocati per la libertà (Öhd) ha denunciato l’arresto di un suo dirigente, Metin Özbadem, e di alcuni politici, quali Halil Delen, Havva Bildik e Habat Mimkara dei distretti di Suruç e di Viranşehir.

Sono stati arrestati inoltre membri della prestigiosa associazione umanitaria di Diyarbakır, l’Associazione per i diritti umani (İHD).

Anche l’edificio dell’Associazione degli avvocati per la libertà è stato perquisito.

Il voto curdo è stato sempre molto corteggiato dall’Akp di Erdoğan, perché considerato fondamentale per ottenere la maggioranza assoluta in Parlamento, infatti un’affermazione dell’Hdp, in particolare nel sudest anatolico, farebbe perdere seggi cruciali al partito del presidente, come accadde nelle elezioni del 7 giugno 2015, quando il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp)perse la maggioranza assoluta grazie proprio al successo del Partito democratico dei popoli, che superò lo sbarramento del 10% e per la prima volta vi fu una massiccia rappresentanza curda nelle istituzioni.

Il leader del Partito del movimento nazionalista (Mhp), Devlet Bahçeli, ferocemente anticurdo, ora prezioso alleato di Erdoğan nell’Alleanza del popolo, si rifiutò di formare un governo di coalizione con la componente curda e quindi si ritornò al voto il 1° novembre di quello stesso anno. Quell’evento segnò anche il fallimento del processo di dialogo condotto dall’intelligence turca con il vertice del Pkk, avviato daErdoğan durante il suo primo ministeronel tentativo di assicurarsi la maggioranza del voto curdo nel sudest anatolico. Ne seguì un’ondata di attentati che culminò in quello dellastazione di Ankara del 10 ottobre 2015,dove morirono 303 persone, quasi tutti cittadini curdi che manifestavano per la pace.

In quel contesto di stato di emergenza e di coprifuoco nel sudest anatolico, l’Akpvinse le elezioni e riconquistò la maggioranza assoluta. I cittadini spaventati dal ritorno del terrore preferirono ridare la fiducia al partito di Erdoğan che fino ad allora era riuscito a garantire una sufficiente stabilità e sicurezza per il paese.

Fu soprattutto grazie al voto curdo dell’Hdp che nelle elezioni locali del 2019, il Partito repubblicano del popolo (Chp) di Kemal Kılıçdaroğlu vinse in tutti i maggiori centri urbani del paese, compresa la megalopoli di Istanbul, cuore economico e dell’Islam politico, da un quarto di secolo feudo di Erdoğan e del suo partito. L’accordo tacito di desistenza che vi fu tra l’Hdp e il maggior partito d’opposizione favorì una storica “Apertura curda” nella strategia del Partito repubblicano del popolo ora sulla strada post kemalista. Questa volta il protagonista di tale svolta non è stato l’Akp che già nel 2009 col suo presidente operò per primo una politica di “apertura per la risoluzione della questione curda”, ma il suo maggiore antagonista: Kemal Kılıçdaroğlu, ora candidato della coalizione di opposizione (l’Alleanza della Nazione) alla presidenza della Repubblica. Il 19 settembre 2021, nel primo episodio del documentario del giornalista Günel Cantak, a lui dedicato, intitolato “Il signor Kemal e le sue alleanze”, (“Bay Kemal ve İttifakları”), affermò che il Partito democratico dei popoli era l’unico interlocutore legittimo per la soluzione del problema curdo. Mai il leader repubblicano si era spinto così in avanti, mai era stato così esplicito. Questa storica svolta avvenne in diretta su un canale YouTube e il documentario fu diffuso contemporaneamente su tutti i media indipendenti.

Nelle elezioni presidenziali e parlamentari del 14 maggio, l’Hdp non fa parte dell’Alleanza della Nazione costituita dal Chp e da altri cinque partiti, tutti di destra nazionalista, ma sostiene il candidato-presidente Kılıçdaroğlu. Questo partito parteciperàalle elezioni con le liste del Partito Verde di Sinistra (Yeşil Sol Parti), organizzazione fondata ad hoc dalla sinistra radicale e filocurda per aggirare il rischio di chiusura dell’Hdp che la Corte costituzionale potrebbe decidere di decretare escludendolo dalla competizione elettorale. I curdi sono abituati a essere messi fuorilegge e dunque hanno sempre un piano B. Da sempre sanno che quando la loro presenza sarebbe diventata scomoda per il regime, quest’ultimo avrebbe chiuso il loro partito come è già accaduto ben sette volte in precedenza e dunque quando fondano un’organizzazione politica, contemporaneamente ne aprono almeno una di riserva.

Ci troviamo di fronte ad una vera e propria persecuzione politica perché l’Hdp è un partito di sinistra ambientalista, con particolare attenzione ai diritti umani, sociali e politici, delle minoranze etniche e religiose, dei diritti delle donne e di quelli LGBTIQ+.

Era nato nel 2012 con l’intento di estendere la propria influenza oltre i confini ristretti del sudest anatolico a maggioranza curda. Dunque non più regionale, ma capace di raccogliere il consenso di tutto il paese, di unire quella sinistra turca delusa dai partiti tradizionali.

Il suo leader curdo e fondatore, Selahattin Demirtaş, si era impegnato in una operazione di importanza rivoluzionaria e inimmaginabile in Turchia fino a qualche anno prima: traghettare la galassia del movimento curdo e quella per i diritti umani sul terreno della lotta politica civile e pacifica.

Demirtaş sta pagando duramente questa svolta ed è dietro le sbarre dal 4 novembre 2016, da allora è recluso nel penitenziario di massima sicurezza di Edirne in una cella di tipo F, nonostante la sentenza perentoria della CEDU che ne ha chiesto l’immediata liberazione perché la sua detenzione è stata decisa per motivi palesemente politici.

Da quando è stato fondato, nell’ottobre del 2012, l’Hdp ha rappresentato per l’Akp un elevato fattore di rischio per il raggiungimento della maggioranza assoluta in Parlamento nelle elezioni che si sono d’allora susseguite. Per questo ha visto decimare la sua classe dirigente: quattordici parlamentari arrestati, oltre cento sindaci defenestrati, molti dei quali finiti dietro le sbarre assieme a oltre ventimila tra dirigenti e militanti.

E ora rischia la chiusura, ma se i suoi elettori si comporteranno come è accaduto nelle elezioni locali del 2019, il candidato congiunto dell’opposizione alla presidenza della Repubblica, Kemal Kılıçdaroğlu, potrebbe ricevere un sostegno prezioso per una, fino a poco tempo fa, impensabile vittoria.

La Turchia non è nuova a pratiche sistematiche di molestie e di intimidazioni contro giornalisti, operatori di media curdi, degli avvocati che li difendono e dei funzionari di partiti politici curdi, soprattutto in prossimità di elezioni. Le maggiori organizzazioni per i diritti umani turche e gli Ordini degli avvocati delle maggiori province del paese hanno sia ieri che oggi manifestato a Urfa, a İzmir, a Siirt, a Gaziantep, a Van, a Diyarbakır, aBatman, ad Ankara, a Mersin, a Bursa, a Mardin, a Şırnak, ad Adana, a Bitlis, a Iğdir e ad Hakkari.


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