A oltre sette anni dall’arresto, i quattro giornalisti yemeniti Abdel-Khaleq Amran, Akram al-Walidi, Hareth Hamid e Tawfiq al-Mansouri sono tornati in libertà.
Erano stati arrestati il 9 giugno 2015 all’interno dell’hotel Qasr al-Alham di Sana’a, uno dei pochi luoghi della capitale dello Yemen con una connessione Internet ancora funzionante.
Nei loro confronti erano state formulate le accuse di “collaborazione col nemico” e “diffusione di dicerie e notizie false” a vantaggio della coalizione militare guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, che pochi mesi prima aveva iniziato a bombardare lo Yemen per sconfiggere il gruppo armato huthi che aveva assunto il controllo di parte del paese.
Dopo quasi cinque anni di attesa del processo, trascorsi in prigione tra isolamento, tortura, diniego di cure mediche e periodi di sparizione forzata, l’11 aprile 2020 i quattro giornalisti erano stati giudicati colpevoli di spionaggio in favore dell’Arabia Saudita e condannati a morte.
Gli appelli delle organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International, e dei gruppi per la libertà di stampa hanno contribuito al felice esito di una lunghissima persecuzione che, tuttavia, non avrebbe mai dovuto iniziare.
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