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Sudan, la grande fuga degli italiani dal conflitto sempre più grave

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Non era mai accaduto prima. Una fuga di massa dal Sudan, come quella che ha coinvolto i 140 italiani evacuati ieri da Khartoum, non si era verificata neanche quando i ribelli del Darfur erano arrivati alle porte della capitale sudanese per cacciare l’ex dittatore Omar Hassan al-Bashir.
L’operazione di salvataggio si è consumata mentre i colpi di mortaio e gli spari degli scontri risuonavano in una città spettrale avvolta da colonne di fumo.
I nostri connazionali, arrivati tutti nella tarda mattinata di domenica in ambasciata, nella centralissima Street 39, Block 61, divenuta punto di raccolta per chi era ancora nella capitale sudanese – 20 erano già in salvo in Egitto, raggiunto via terra – sono stati imbarcati sui C130, in arrivo da Gibuti, per poi volare in Italia poco dopo le 18.
Con loro anche alcuni cittadini svizzeri ai quali è stata fornita la stessa assistenza e il passaggio sicuro per tornare nel loro paese via Roma.
Non è stato semplice mettere in sicurezza tutti gli italiani in una situazione di totale instabilità, che cambiava in continuazione.
L’operazione, coordinata dal comando operativo di vertice interforze, era iniziata alle 13.55con la partenza dei due voli militari con a bordo il personale delle forze speciali dell’Esercito italiano e dei Carabinieri.
Ma unità delle nostre “teste di cuoio” erano già sul posto per garantire la copertura sicura dei convogli, nonostante il supporto dell’esercito sudanese e la garanzia del generale Mohamed Hamdan Dagalo in persona al nostro ministero degli Esteri Antonio Tajani che “nessun attacco sarebbe stato indirizzato dalle Forze di supporto rapido”.
“Tutti gli 11 dipendenti dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo sono in salvo. Io ero già in Italia ma in costante contatto con Khartoum” spiega il direttore della sede dell’Aics in Sudan, Michele Morana, che può tirare un sospiro di sollievo.
Anche il personale locale rimasto nella capitale sudanese è al sicuro, rifugiato nelle proprie residenze.
Ma resta l’amarezza per tutti i progetti di cooperazione che l’Italia stava attuando con successo nel paese.
“Progetti che continueranno” assicura Morana.
Tanti gli operatori umanitari che avevano iniziato da poco le loro missioni, come Costanza, che in un primo momento aveva pensato di lasciare il Sudan con un gruppo di persone decise ad arrivare in Egitto via terra. Viaggio estremamente rischioso, motivo che l’ha spinta ad attendere l’evacuazione con il personale dell’ambasciata.
Anche una parte degli operatori di
Emergency, l’organizzazione italiana non governativa che a Khartoum gestisce l’ospedale di cardiochirurgia “Al Salam”, è rientrato in Italia.
“In 7 hanno scelto di tornare con il convoglio di evacuazione organizzato dall’ambasciata
– spiega il coordinatore sanitario Franco Masini – Tre di loro avevano già programmato il rientro, ma erano stati bloccati nel Paese dall’inizio degli scontri. Restano in Sudan circa una quarantina di operatori sudanesi e internazionali che proseguiranno il loro lavoro negli ospedali di Khartoum, Nyala e Port Sudan” conclude con una punta di orgoglio, seppur con la preoccupazione inevitabile del
costante peggioramento della situazione.
Hanno invece deciso di rimanere in Sudan tutti gli operatori di Medici senza frontiere che hanno finora assistito 354 feriti a causa degli intensi combattimenti tra l’esercito sudanese e le Forze di Supporto Rapido che non si sono fermati neanche durante l’annunciata tregua per le celebrazioni della
fine del Ramadan.
Il bilancio delle vittime del conflitto si accresce di giorno in giorno, sono quasi 900 i morti e una decina di migliaia i feriti.
E la situazione non può che peggiorare, oltre l’80 % degli ospedali è al collasso.

Fonte Repubblica


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