Potrebbero essere cento i motivi che nel maggio 2014 hanno spinto Jvan Baio a denunciare la mafia, ma lui da allora ne ravvisa sempre e solo uno: la giustizia. A più riprese puntiamo il riflettore sulla sua storia facendoci raccontare nei dettagli e non senza sgomento com’è cambiata la sua vita tra processi, intimidazioni e paura.
“Voi avete sbagliato a denunciare, vi siete messi contro troppi poteri”, a parlare è un avvocato di Libera Impresa che segue il caso di Jvan e della sua famiglia e i poteri a cui si riferisce sono lo Stato, la mafia e un asse deviato della polizia.
Dopo che era stato ascoltato in Commissione Antimafia speravamo che la situazione di Jvan fosse migliorata, invece lo troviamo ancora più spaventato. “Siamo arrivati a un punto in cui ci giriamo a sinistra e vediamo la polizia che mente nei processi e che mi ha arrestato falsamente e che non ha fatto le indagini per arrestare Vella, Cassia e Riani e il clan Bottaro-Attanasio in quell’occasione; ci giriamo a destra e abbiamo minacce di morte da parte di esponenti del clan che vengono archiviate o spariscono direttamente le denunce con tanto di video di inseguimenti nelle vie cittadine; ci giriamo dietro e abbiamo la politica che mi devasta…” spiega sempre con forza.
Siamo in Sicilia, a Siracusa. Fino a nove anni fa Jvan conduceva una vita soddisfacente e aveva un lavoro dignitoso, ne aveva fatta di strada lui che aveva vissuto la gioventù in via Italia 103, dove i clan si dividono la piazza di spaccio. Aveva voluto mantenere dritta la schiena anche quando l’azienda per cui lavorava, la Isab Lukoil, lo licenzia dopo che si è deciso a denunciare il contrabbando di sigarette e lo spaccio di droga in raffineria.
Due anni prima Jvan aveva aperto un centro ricreativo insieme a dei colleghi, uno dei quali era Luca Vella che verrà condannato in primo e secondo grado per concorso esterno in associazione mafiosa ma assolto in Cassazione. Per Vella il centro era una evidente copertura per i traffici illeciti, come scommesse illegali e spaccio di droga. Jvan era il capro espiatorio perfetto, peccato solo per il suo ineguagliabile senso del dovere e della giustizia. Infatti, alla sua ribellione seguirono minacce e intimidazioni, come il danneggiamento del negozio per parrucchiere del fratello che venne incendiato dopo che era stato inutilmente preteso un pizzo dagli 8 ai 60mila euro. Una parte di quei soldi, a loro dire sarebbe servita per sostenere le spese di detenzione di Pasqualino “Lino” Mazzarella, allora uno dei reggenti del clan Bottaro-Attanasio e cugino di Luca Vella, che la Corte d’Assise di Siracusa nel 2016 condannò all’ergastolo in primo grado per omicidio e occultamento di cadavere di Liberante Romano, altro esponente dell’ominimo clan. Luca Vella, tra l’altro, farà entrare nel giro anche un altro esponente del clan che diventerà socio del centro di scommesse illegale, tale Concetto Cassia.
L’aria che si respira a Siracusa resta la stessa anche per la Direzione Investigativa Antimafia che nell’ultima relazione semestrale (I semestre, 2022) pone ancora una volta l’accento sulla malavita. “Il territorio siracusano risulta infatti caratterizzato dalla presenza di due macro gruppi di riferimento che esercitano la loro influenza in ambiti geografici ben definiti. Nel quadrante nord della città di Siracusa è presente il gruppo Santa Panagia, frangia cittadina della ramificata compagine Nardo-Aparo-Trigila a sua volta collegata alla famiglia Santapaola-Ercolano di cosa nostra catanese. Nel contesto urbano si colloca anche il sodalizio dei Bottaro-Attanasio legato anche al clan etneo dei Cappello e molto attivo nelle estorsioni e nello spaccio di sostanze stupefacenti che costituisce la principale fonte di guadagno anche per le altre consorterie” si legge. Gli esponenti dei clan, seppure in gran parte detenuti, riescono a muovere i fili degli affari tramite sodali di fiducia in libertà. Non ultimo il caso di Alessio Attanasio, capo cosca dell’omonimo clan, che scarcerato dopo vent’anni è tornato al 41 bis per omicidio.
Ed è respirando quest’aria che Jvan dice no al sistema illegale che si è creato nella sua terra calpestando i tanti Falcone e Borsellino che l’hanno amata.
“Io ho più paura in questo momento della polizia, della squadra mobile e della procura di Siracusa che dei mafiosi che ho denunciato”, mi dice raggiunto al telefono. Sono parole forti anche solo da scrivere. “Durante i processi hanno mentito e hanno omesso delle cose di una rilevanza importante, hanno cercato di farmi arrestare per resistenza a pubblico ufficiale quando protestai davanti all’Isab Lukoil e se non avessi avuto il video di mia moglie sarei stato condannato a due anni e mezzo di carcere e invece sono stato assolto perché il fatto non sussiste. La polizia del commissariato di Priolo, nel processo in cui sono stato assolto, sono gli stessi del secondo processo contro Isab Lukoil che è ancora in corso, quegli agenti io li ho denunciati e sono stati rinviati a giudizio per falsa testimonianza durante un processo penale” continua accorato e aggiunge “Sono stato in Dda (Direzione distrettuale antimafia, ndr.), sono stato ascoltato e mi hanno ringraziato mille volte per aver depositato circostanze dove poliziotti infedeli della squadra mobile di Siracusa hanno infangato le indagini che portano al rinvio a giudizio di Vella, Cassia e Riani. Perchè gli stessi poliziotti in arresto da ottobre 2022 sono gli stessi che indagavano nella squadra mobile le mie denunce e che non hanno arrestato in flagranza di reato questi soggetti”. Lo diceva che c’era qualcosa che non quadrava, se lo sentiva dentro. Poi, nell’ottobre scorso, tutti i suoi dubbi hanno trovato fondamento anche grazie alle rivelazioni di Francesco “Cesco” Capodieci, ex re del Bronx che nel frattempo era diventato collaboratore di giustizia. Capodieci comincia a parlare talmente tanto che con le indagini alla mano il gip del Tribunale di Catania fa eseguire un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di quattro persone, tre poliziotti e un carabiniere, indagati a vario titolo per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, ma anche corruzione, peculato e falso in atto pubblico [Fonte: SiracusaNews].
Tra i poliziotti infedeli ci sono Giuseppe Iacono e Rosario Salemi che Jvan conosce bene, lamentando che le indagini sulle denunce che negli anni ha presentato non sono mai state fatte bene o approfondite. “Prima che io denunciassi Vella, Cassia e il clan Bottaro-Attanasio, io ero andato da Pippo Iacono essendo un poliziotto della squadra mobile per chiedere aiuto. E le sue risposte furono lasciali stare, non ti mettere a denunciare Carmelo Cassia, il clan, lascia perdere non ti conviene. Perciò io da quel momento in poi mi sono messo nella bocca del lupo senza sapere che il lupo era parte della polizia” commenta Baio.
Nonostante la collusione evidente e le pistole sotto le magliette di chi tenta di intimidirlo, la vita di Jvan in questi anni ha preso una piega che di certo non si sarebbe aspettato, pur continuando la lotta con determinazione. Non ha ottenuto il reintegro sul posto di lavoro, perchè, mi dice, “se l’Isab si schiera così pesantemente, nella zona industriale chi me lo dovrebbe offrire il lavoro visto che è la più grande raffineria che c’è in Europa? per quanto riguarda Lukoil, è quella che dà lavoro anche alle ditte terze, dà lavoro agli appalti, ma chi è che vuole che Baio Jvan rientri in quella raffineria?”. E poi c’è Luca Vella che in udienza lo invita a presentarsi in un programma televisivo in modo da poter rispondere pubblicamente a tutte le accuse che gli rivolge e che per Jvan, già per il solo fatto che proprio lui possa dirglielo, è una vergogna tutta italiana. Perché Jvan non si ferma e pur di dimostrare quello in cui crede indaga da solo, si mette sulle sue tracce e scopre che già nel dicembre del 2014, quando lui saliva sulle torrette della Isab Lukoil per protestare contro gli illeciti in raffineria, Vella che al tempo era sotto intercettazione da parte della stessa squadra mobile di Siracusa se ne stava in Croazia nei casinò. “Lui in aula dichiara che era tutto gratis, essendo che aveva la restrizione di non frequentare pregiudicati perché era stato condannato precedentemente, ma la realtà vuole che ho trovato una foto in cui è abbracciato al Giarratana Salvatore, lo zio è uno dei boss più importanti del siracusano, Salvatore Belfiore detto u Cinisi, e Valenti Alfredo che è imputato e attualmente condannato per scomesse clandestine legate al clan Santapaola”, racconta Jvan. Ma forse siamo lontani dal far trionfare la verità e la giustizia, forse non se ne deve ancora parlare e così Jvan finisce per essere additato come il pazzo del quartiere.
Senza alcun tipo di tutela da parte dello Stato, lui insieme a sua moglie e alla sue figlie continua ostinatamente a lottare, ma diversamente da prima ha una nuova certezza e questa volta me lo dice con la gola strozzata: “Abbiamo il terrore delle forze dell’ordine e prima o poi subiremo quello che loro hanno deciso per noi. Ho toccato tasti tanto più grandi di me che mi porteranno a vivere poco, te lo posso garantire”.